Tony O’Neill – Sick City

by Gianluigi Bodi
Tony O'Neill

Non lo so se è un complimento o no, non mi sono posto il problema mentre leggevo Sick City e non ho voglia di pormelo nemmeno ora, ma mentre leggevo questo libro di Tony O’Neill avevo l’impressione di essere al cinema. Lo so, lo so, ad un quadro non devi mai dire che è così bello che sembra una fotografia perché se sembra una fotografia non è un quadro, ma per quello che mi riguarda Sick City mi ha catapultato all’interno di un film, un film che mi  è pure piaciuto.

Gira tutto attorno alla tossicodipendenza il libro di O’Neill. Una famosa clinica di disintossicazione frequentata da ricchi, famosi e facoltosi. Un dottore di bell’aspetto, denti perfetti e sorriso ammaliante, ricco sfondato grazie alla clinica che però nasconde dei segreti. E poi i derelitti,  Randal, figlio di un produttore di Hollywood che vive nella bambagia ed è quasi costretto a disintossicarsi e Jeffrey, un ragazzo di strada che si decide a chiudersi in clinica dopo la morte del proprio Sugar Daddy e con l’idea di affrontare lucidamente un affare che lo potrebbe sistemare per il resto dei suoi giorni.
E’ nel dolore di vite vissute aldilà dei limiti che vive e prende forma Sick City. O’Neill, probabilmente anche per i propri trascorsi legati alla droga, riesce a parlarci con una franchezza terribile del rapporto tra essere umano e dipendenza.
Provo pena per i personaggi di Sick City, provo pena per Jeffrey perché sembra quasi che il suo destino sia segnato, che la sua vita non avesse possibilità di essere diversa da quella che è diventata.

Eppoi c’è il mondo, la realtà come la viviamo noi tutti i giorni, e in Sick City il mondo è marcio, corrotto, nessuno è privo di macchia, tutti sacrificano una parte di se stessi per arrivare ad un obiettivo. E’ forse questo l’aspetto più triste. Non c’è redenzione.
Quella di Tony O’Neill è letteratura che non da pace, non ti fornisce una visione del mondo in cui tutto, primo o dopo, andrà per il meglio. Non c’è salvezza nelle parole di O’Neill, siamo tutti corrotti.

Il bello del conoscere una casa editrice che è sul mercato da un po’ è che poi puoi andare a spulciare a ritroso nel suo catalogo e recuperare qualche gemma che ti era colpevolmente sfuggita. Anche così impari a conoscere la coerenza di un editore, quella coerenenza che, se mantenuta, te lo fa apprezzare rispetto ad altri che sparano titoli a casaccio tanto per portare a casa il mese. Playground ha una fortissiama coerenza nella linea editoriale adottata, i libri che pubblica sono tutti libri che non ti possono lasciare indifferente, nel bene e nel male.

Spesso, quando ti capitano libri di questo genere, che usano un linguaggio preso dalla strada, preso direttamente dalla bocca delle persone e non filtrato, spesso dicevo, i traduttori vacillano e soccombono. Restituiscono un linguaggio artificiale e forzato, macchiettistico. Non è il caso della traduzione di Gaja Cenciarelli

Tony O’Neill (1978)
Ex musicista, si è fatto notare nell’universo letterario nel 2006 dando alle stampe un romanzo di ispirazione autobiografica, centrato sulla sua esperienza di tossicodipendente, dal titolo Digging The Vein. A questo sono seguiti Down and Out on Murder Mile (pubblicato da Harper Perennial) e Sick City (in Italia edito da Playground, 2012).

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