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Una chiacchierata con Luca Pantarotto

by Gianluigi Bodi
Luca Pantarotto

Ohi Luca, ma per l’uscita del tuo libro facciamo un’intervista qui su Messenger?

In che senso qui su Messenger? Cioè tipo quelle cose porno che poi ci si spoglia?

No tipo che io ti faccio le domande (da vestito) e tu mi rispondi quando hai tempo e voglia (da vestito). Anche se ci mettiamo due settimane amen.

Sì sì, ok. Non domande difficili, però, eh.

Tipo la prima che ti farei è: perché stai sul cazzo a così tanta gente? Quando ti ho incontrato al secondo bookpride (il primo NN) uno mi ha detto “Pantarotto è quello, ma lascia stare che è uno che se la tira”.

Ahah. Ma chi cazzo te l’aveva detto, poi

Non te lo dirò mai.

Comunque rispondi.

Perchè?

Non saprei, chiedo un po’ in giro e ti dico.

Ah, tanto a scanso di equivoci, l’intervista è già iniziata.

Comunque in realtà non credo mica di stare sul cazzo a tutta ‘sta gente, sai? Anche perché non mi pare di pormi in chissà che modo arrogante. Se pensi che ho un libro in uscita e mi dimentico sempre persino di parlarne

Invece quando avevo il blog sì, il “tono da blog” che usavo, soprattutto nei post del venerdì in cui segnalavo le novità, ogni tanto stava sulle palle a qualcuno, infatti ho litigato con un tot di gente (o meglio, loro hanno litigato con me, io non litigo mai con nessuno). Tipo, una tizia una volta mi ha scritto per consigliarmi andare a spaccarmi la testa contro un palo.

Povero palo.

Senti, ma il blog perché lo avevi aperto? Cosa ti proponevi di fare, quali stimoli te lo hanno fatto aprire?

Volevo quello che vogliono tutti quelli che aprono un blog: carezze a un ego frustrato, libri gratis e ringraziamenti di circostanza.

Scherzi a parte, volevo provare a fare un blog sui libri tipo quelli che ci sono per il cinema, tipo (per darti un’idea, perché loro sono inarrivabili e poi io ero da solo) “I 400 calci”. Qualcosa che fosse da quelle parti, che unisse spensieratezza e leggerezza di stile e anche un po’ di cazzonaggine (si dice? Boh) a una vera competenza e passione per la materia scelta. Fare l’ennesimo blog che parlasse di tutto non mi interessava, ce n’erano già tanti e poi io non leggo di tutto, neanche lontanamente. Cercavo blog che trattassero solo letteratura americana e non ce n’erano, e io volevo che la gente, cercando qualcosa che parlasse di letteratura americana in un modo appassionato e professionale e piacevole da leggere, dicesse “Ehi, c’è quello là, come si chiama, Holden & Company”.

E alla fine, se devi tirare le somme, ci sei riuscito? Sei soddisfatto?

Soddisfatto senz’altro, nei tre anni circa in cui quel blog è rimasto on line mi sono divertito tantissimo a farlo. Anzi, credo che sia tuttora una delle esperienze più belle della mia vita e il motivo per cui ho accettato volentieri la proposta di fare questo libro è soprattutto questo: mi sembrava un gran bel modo di rendere omaggio a una esperienza bellissima.

Riuscito direi anche, anche se poi a dirlo la gente penserà che me la tiro. A tre anni dalla chiusura la gente se lo ricorda ancora, e non è così scontato. Qualcuno mi chiama ancora Holden, pensa tu. E qualche settimana fa mi hanno intervistato i ragazzi del Master in editoria della Cattolica, l’intervista riguardava il modo in cui gestiamo la comunicazione editoriale di NN e la prima domanda riguardava, del tutto inaspettatamente per me, proprio il modo in cui si parlava di libri sul vecchio H&C. Ci sono rimasto davvero secco, se pensi che il blog non è più online dal 2016.

Poi hai deciso di chiuderlo? Eri stanco? Mancanza di tempo? Altri impegni?

Tutte e tre le cose insieme.

Tanto per cominciare non sono mai stato un campione di costanza nelle cose che faccio, essere riuscito a tenere aperto un blog per tre anni, con pubblicazioni a cadenza più o meno regolare, per me è già una specie di miracolo.

Poi nel frattempo avevo trovato (anche grazie al blog, tra l’altro) il lavoro che faccio adesso e tutto il tempo libero che avevo prima ovviamente era sparito. Senza contare che, quando passi la giornata a lavorare con i libri, poi tornare a casa e metterti ancora a scrivere di libri non è proprio la prima cosa che hai voglia di fare, ecco.

Adesso ti faccio una domanda io: tu cosa ti ricordi di quel blog?

Che mi faceva venir voglia di leggere tutto e di saperne di più degli autori di cui parlavi. Mi faceva voglia di imparare.

E che ti stavo sul cazzo perché me la tiravo?

No, a dire il vero no. Il fatto che mi dovevi stare sul cazzo me lo hanno detto dopo. Ho anche pensato che qualcuno fosse geloso perchè il blog aveva successo e tu avevi trovato lavoro in una casa editrice appena nata che però mostrava già parecchia qualità.

Ti viene mai voglia di riaprire il blog tale e quale a com’era?

A volte. In effetti ci ho anche provato, l’anno scorso. Solo che avevo lasciato scadere il dominio e non era più disponibile, l’aveva registrato una società (credo) giapponese che risultava proprietaria di altre decine di migliaia di domini lasciati andare, per ricomprarlo avrei dovuto pagare qualcosa come mille dollari e ci ho rinunciato. Si vede che non era più destino.

Chiamalo Company & Holden.

Dovresti fare il copywriter, sai?

Non farmi fare la lista delle carriere che rimpiango di non aver battuto.

Avevo letto “cameriere”.

Molto sottile.

Senti ma quando Davide ti ha proposto di mettere su carta i tuoi interventi sul blog qual è stata la prima cosa che gli hai detto?

“Uhm, ma sei sicuro? Guarda che sono quasi tutte stronzate.”

Bel modo di fare autopromozione. Poi dici a me.

Cambiamo tema. Come è nata la tua passione per il collezionismo di libri?

Temo di essere più bravo a promuovere i libri degli altri che non i miei

Comunque in effetti pensavo davvero che fossero tutte stronzate. Non riaprivo quel blog da oltre un anno e ricordavo solo le cose più sceme. Poi, riprendendo in mano tutto e rileggendo qua e là, ho visto che in realtà c’erano diverse cose che poteva anche avere senso pubblicare in autonomia: storie di libri, ritratti di autori sulla base dei loro stessi testi, pezzi generali sulla letteratura, le recensioni, la critica, cose così. Storie divertenti da raccontare e da leggere, insomma. E quelle hanno finito per costituire l’ossatura di tutta la raccolta.

Sulla passione per il collezionismo ho raccontato tutto in un articolo pubblicato su un blog chiamato Senzaudio, non so se lo conosci.

Ne ho sentito parlare nei peggiori bar di Caracas. Adesso in questo punto qui link l’altro articolo, così mi fai fare una botta di ingressi.

Come vedi questa esplosione senza fine dei blog letterari?

Malissimo, a dirti la verità.

(È una domanda messa lì apposta per far aumentare le schiere dei tuo nemici.)

Sei scaltro come una faina

Argomenta.

(Non il fatto che io sia scaltro come una faina, ma la storia dei blog.)

Mah, su questa cosa avevo scritto un post proprio a chiusura di Holden & Company. In effetti era un altro dei motivi per cui non mi sembrava più avere molto senso andare avanti, anche se continuava a piacermi un sacco quello che facevo. Il punto secondo me è questo: il web è andato avanti, negli ultimi dieci o quindici anni, i blog no. Il web è diventato social, integrato, ha abolito o superato la maggior parte delle piattaforme “autoconcluse” in favore di spazi inclusivi di ben maggior respiro. I blog sono rimasti, in buona sostanza, dei palcoscenici privati in cui ognuno mette in scena il suo personale “one man show”. In un universo comunicativo in cui la produzione e la condivisione di contenuti si sta sempre più spostando su spazi aggregati, la forma del blog come espressione monologica di un unico individuo che “ospita” gente a casa sua, intervenuta appositamente per sentirlo parlare e poi andarsene, mi pare che stia per arrivare sempre più in fretta ad un punto di esaurimento. Paradossalmente, lo spazio già di per sé risicato che una simile forma di condivisione potrebbe sfruttare è ingombrato ancora di più dal fatto che, appunto, ogni giorno ne aprono una decina di nuovi. E sono tutti uguali, e dicono più o meno tutti le stesse cose sugli stessi argomenti nello stesso modo e con le stesse parole. E tutti sgomitano per provare a concentrare l’attenzione su di sé, togliendola agli altri. E questo va a scapito di cosa? Dei contenuti, ovviamente: si crede che il modo migliore di stare sulla cresta dell’onda sia restare sempre ossessivamente sul pezzo. Parlare sempre e solo dell’ultima novità in libreria (quella che stanno leggendo tutti), dell’ultimo successo al cinema (quello che stanno vedendo tutti), del fatto di cronaca più scandaloso (quello a cui tutti si interessano). Sai cosa farebbe successo oggi, secondo me? Un blog che parli di libri che non legge più nessuno, tipo libri fuori catalogo o roba così. Di autori che in Italia non sono neanche ancora arrivati. Un blog che parli di cose di cui nessuno parla, così tutti andrebbero a leggersele lì. Un blog che faccia scoprire alla gente quello che ancora non sa, titoli nuovi e meritevoli ma magari passati in sordina o finiti dritti nel dimenticatoio, libri e autori strani che sui giornali non arrivano, cose così. Alla fine Holden & Company piaceva per quello: nella massa di blog che volevano recensire tutto quello che usciva, quello era un sito in cui trovavi un unico argomento, per quanto vasto, che cercavo di sviluppare abbastanza bene da dare almeno un pochino di senso all’esistenza di un sito apposta.

Se apri un blog così lo leggo di sicuro.

E per quel che riguarda la tua analisi mi sa che sono abbastanza d’accordo con te. Questa corsa piena di entusiasmo appresso all’ultima uscita è logorante.

Poi intendiamoci, là fuori ci sono un sacco di blog belli e ben fatti che è un piacere seguire. Lo dico  perché se no si rischia di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Non a caso sono quelli che, nel tempo, sono riusciti a costruirsi un’identità precisa, contorni ben definiti e riconoscibili. Li visitiregolarmente per informarti su determinate cose, sentire il loro parere su certi libri, perché sai che ci trovi la passione, la qualità e la competenza, non esclusivamente l’interesse a coprire tutto nel più breve tempo possibile.

Certo, si trova sempre del buono cercando.

Tu cosa segui? Cosa consiglieresti? Non necessariamente blog di libri?

La lettrice rampante e Senzaudio.

Hmm, era prevedibile. Questa la editiamo.

Riprovo. Tu cosa segui? Cosa consiglieresti? Non necessariamente blog di libri?

 

Ne leggo un sacco, per lavoro: degli italiani, oltre a quei due che ti ho detto prima, Il giro del mondo attraverso i libri, La lettrice geniale, Critica letteraria, Eroica Fenice, Nuvole d’inchiostro, tra i magazine più grossi La balena bianca, Cattedrale, Crapula Club, Doppiozero, L’indice, Il lavoro culturale, Minima & Moralia, Il Tascabile, L’indiscreto, solo per dire i primi che mi vengono in mente.

Poi se me vengono altri te li dico e ‘sta risposta la sistemiamo.

 

Come sei arrivato ad NN? Prima mi dicevi che il blog in un certo senso ti ha aiutato.

Ma quanto cazzo è lunga quest’intervista?

 

Ma quale intervista, ti ho preso in giro, figurati cosa interessa alla gente di quello che dici tu.

In effetti

 

Dai rispondi alla domanda su NN.

La domanda su NN. Dunque, è andata così, che a giugno 2015 mi ritrovo disoccupato, senza troppi rimpianti, in verità, e mi prendo l’estate per vedere un po’ cosa mi vada di fare della mia vita nel prossimo futuro. Tra l’altro quell’estate faceva caldo e chi ha voglia di lavorare d’estate? Nessuno, appunto; quindi non mi metto a cercare niente, lì per lì, e mando avanti il blog accelerando il ritmo. Nel frattempo ogni tanto chiacchiero in chat con Gioia Guerzoni, che oltre a tradurre per NN, nata a marzo di quello stesso anno, in quel periodo seguiva un po’ i canali social. Bene, Gioia mi racconta che fare i social le piace, però le toglie molto tempo per tradurre, e io le rispondo che se voleva potevo magari pensarci io, che tanto non stavo facendo niente. Così lei mi mette in contatto con Eugenia, l’editore di NN, ci facciamo una chiacchierata e mi spiega che per la comunicazione di NN volevano qualcosa di diverso, qualcosa di non troppo ingessato, un tipo di comunicazione in grado di abbattere le barriere tra editore e lettore, coinvolgendo senza annoiare e rendendo il lettore partecipe di tutto quello che di solito, nel lavoro editoriale, resta dietro le quinte. In casa editrice conoscevano già il mio blog e a Eugenia piaceva il modo in cui parlavo di libri e interagivo con il pubblico, e così abbiamo detto “Be’, proviamo”; ci siamo trovati benissimo insieme tutti quanti fin da subito e il resto, come si dice, è storia.

 

Vedo che ogni tanto riesco a farti scrivere qualcosa di serio.

Ultima domanda, poi chiudiamo. Non so se il libro ha già un titolo, ma al di là di questo particolare, cosa speri che succeda alla tua creatura?

Certo che ha già un titolo, si intitola

(va a controllare perché non se lo ricorda)

“Holden & Company. Peripezie di letteratura americana da J. D. Salinger a Kent Haruf”

Mi aspetto quello che si aspettano tutti gli esordienti: vendere un sacco di copie, diventare ricco con i lauti diritti d’autore, trovare un sacco di persone che ti considerino un dio in terra e altre migliaia che vogliano ucciderti per invidia della tua posizione. Mi piacerebbe che ne facessero un film, ma non so se si può fare con una raccolta di saggi.

 

Ha! Cita Kent Haruf per ordini di scuderia! (cit. Ivano Porpora da Facebook)

Esatto.

Ma anche “Certo che ormai si pubblica proprio di tutto, anche i post dei blog. Ma poi questo chi cazzo lo conosce?”

 

Spero che i tuoi sogni di gloria si realizzino, soprattutto la parte del dio in terra e del film, ma anche i soldi direi. Così è contento pure Davide (Pairone, l’editore di Aguaplano: nota aggiunta dall’intervistato in fase di editing, per negligenza dell’intervistatore).

Bon, chiudiamola qui che mi sono stufato e c’ho di meglio da fare. Grazie Luca.

Sì, infatti, che c’avrei anche da lavorare.

Non mi hai neanche chiesto cosa c’è nel libro.

Non ho mai fatto un’intervista più superficiale di questa, avrai mie notizie.

 

È importante? Tanto non ho intenzione di leggerlo.

Comunque va bene, teniamo a bada il tuo ego… Cosa contiene il tuo meraviglioso libro?

Eh no, bello mio, adesso non te lo dico più.

VAI IN LIBRERIA E TE LO COMPRI.

Dai, dai, dimmelo che ci tengo davvero.

 

Non me lo ha più detto e comunque non era vero che mi interessava.

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