Home Guests Dovrei vivere fino a 107 anni. Il collezionismo secondo Luca Pantarotto.

Dovrei vivere fino a 107 anni. Il collezionismo secondo Luca Pantarotto.

by senzaudio
Luca Pantarotto

Tempo fa ho fatto un calcolo. In casa mia ci sono, a oggi, circa 2800 libri. Io sono un lettore molto lento e di quei 2800 ne avrò letti, finora, qualche centinaio: facciamo 300, quindi si scende a circa 2500 libri ancora da leggere. Sempre tenendo conto della mia lentezza geologica, calcoliamo che io arrivi a leggere una media di 35 libri all’anno (nota per chi dichiara di “divorare” centinaia di libri all’anno: buon per voi, peccato che – SPOILER – alla fine non c’è nessuna medaglia): fa 2500 : 35 = 71. Il risultato è abbastanza chiaro: per finire di leggere, alla mia media attuale, tutti i libri che ho in casa alla data di oggi, dovrò vivere ancora 71 anni, cioè raggiungere l’improbabile età di 107 anni. Conclusione: non ho alcuna speranza di riuscire a leggere tutti i libri che possiedo.

Allora perché continuo a comprarne?

Semplice: perché sono un collezionista. E il collezionismo non è passione per i libri: è una specie di mania ossessivo-compulsiva in cui l’accento non è su “libri”, come alcuni stolidi romantici ancora oggi si ostinano a credere, ma sul possesso. A me non interessa leggere i libri. A me interessa possederli. Vederli lì, schierati in file ordinate, accumularsi l’uno sull’altro, l’uno sull’altro, fino a riempire ogni più recondito angolo, divorare tutto lo spazio, sommergere ogni altro oggetto, sommergere persino me.

Non credete alla gente che vi dice “Colleziono libri perché amo leggere”. Se ti piace leggere, vai in biblioteca. Se i libri li compri, e se ne compri di più, molti di più di quelli che avrai mai la possibilità di leggere, sei un collezionista. E se sei un collezionista, sei malato. Come me.

Se vi sembra un discorso cinico, pensate a questo: molto spesso chi colleziona libri non accumula solo quelli. Anzi, la sua stessa passione collezionistica di solito non è cominciata con i libri.

Io, per dire, ho cominciato con i sassi.

Avevo sei anni e raccoglievo sassi sulla spiaggia. Sassi levigati, sassi vetrosi, sassi con forme strane. Avevo letto una storia su Topolino in cui qualcuno, non ricordo più chi, aveva creato una collezione di sassi così grande che alla fine era diventata un museo. Tutti i sassi erano custoditi e protetti in teche di vetro, ognuno con il suo cartellino identificativo compilato con cura in bella vista. Un ordine che mi sembrava bellissimo, mi sembrava che in quell’ordine ci fosse un qualche senso, un qualche significato: che quell’ordine volesse dire qualcosa, avesse a che fare con molte delle cose che facciamo, con i motivi per cui le facciamo.

Ovviamente dei sassi mi stufai subito. Non avevo teche né cartellini, ogni volta che li distribuivo in ordine sul mio tavolo a casa poi me li ritrovavo spostati da mia madre, che doveva spolverare e non capiva, evidentemente, che le sue esigenze di tenere pulita la casa contrastavano con la mia ansia di creare il kosmos dal caos. Così misi tutti quei sassetti in un barattolo, lo chiusi e lo riposi per sempre insieme al mio primo tentativo di creare una collezione globale potenzialmente infinita.

Però, se non continuai mai a raccogliere sassi, continuai ovviamente a leggere Topolino: il che mi permise di creare la mia prima vera collezione. E di imparare la prima regola del collezionista: ogni collezione si basa in egual modo sulla pazienza del suo proprietario e su una serie imprevedibile di botte di culo esterne. Nel momento stesso in cui cominciavo a dare forma alla mia collezione di Topolino, disponendo tutti i miei non molti albi in sequenza numerica sullo scaffale, mio cugino decise di disfarsi della sua, di collezione, che ovviamente finì da noi. La sua, per ovvie ragioni anagrafiche, era molto più nutrita della mia, risaliva fino alla fine degli anni Settanta e mi consentiva di riempire parecchi buchi, sostituire numeri che io, per incuria, avevo rovinato strappando pagine o pasticciando con i colori, dare al tutto, insomma, quell’aura di completezza che la mia piccola raccolta era in realtà ben lungi dall’avere, ma che un giorno, lo sapevo, avrebbe sicuramente avuto.

Un giorno, ne ero convinto. avrei avuto la più grande biblioteca di numeri di Topolino al mondo. Un’infilata di volumetti che si susseguivano a perdita d’occhio, tutti uguali, tutti strettamente collegati gli uni agli altri da quel numerino sulla costa, che sanciva la loro appartenenza a un ordine perfetto e compiuto: qualcosa che aveva senso e significato autonomi e che mi sarebbe sopravvissuto nei secoli, riempiendo gli altri di ammirazione nei miei confronti. Un piccolo mondo nel mondo, creato da me, di cui sarei stato l’indiscusso sovrano.

Ok, sì, ero un po’ megalomane, già a otto anni.

Ne corso del tempo, poi, l’idea della Biblioteca Topoliniana ha ceduto il passo ad altre collezioni. Funziona così per tutti, l’ha detto bene da qualche parte Hermann Hesse: la miglior biografia di una persona è la successione dei libri nella sua biblioteca privata. Crescendo sono passato attraverso tutta una serie di passioni collezionistiche. Ho accumulato classici greci e latini, radunato la serie completa dei romanzi di Verne, costruito una raccolta di libri sui libri. Poi mi è venuto il pallino delle edizioni Formíggini, una delle imprese editoriali più geniali del Novecento italiano, conclusasi nel 1939 con il suicidio dell’editore Angelo Fortunato Formíggini, che si gettò giù dalla torre della Ghirlandina di Modena per non soccombere alle leggi razziali. Negli ultimi anni colleziono prime edizioni di letteratura americana: la mia prima collezione dedicata a libri che effettivamente leggo. Prima o poi doveva succedere che mi mettessi anche a leggere quello che compro, tutti invecchiamo. Fra cinque o dieci anni, chissà: non possiamo prevedere che libri accumuleremo nel futuro, perché non possiamo sapere che tipo di persona diventeremo. E le due cose, come diceva Hesse, sono irrimediabilmente collegate.

Una cosa però la so: nessun collezionista si circonda di libri perché gli piace leggere. La matematica non è un’opinione e, Frank Zappa aveva ragione, i libri sono così tanti e il tempo è così poco. Non esiste lettore più debole di un collezionista forte. Se comprate, come me, più libri di quelli che potrete mai sperare di leggere, guardatevi dentro: nel recesso più oscuro di voi stessi, nascosto dietro le torreggianti pile di volumi che non farete mai in tempo nemmeno a sfogliare, troverete un ragazzino o una ragazzina che raccogliva sassolini, o bambole, tazze, teiere, albi a fumetti o qualsiasi altra cosa gli desse la momentanea sicurezza di potere, anche solo per un brevissimo istante, dare un minimo di ordine e significato a quel mondo caotico in cui gli era capitato all’improvviso di ritrovarsi.

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