Amore a prima vista per La rivolta di hopfrog e altre storie (che poi è solo un’altra storia), fumettissimo firmato da David B. e Christophe Blain e pubblicato da Oblomov. Un super combo di autori che si mette alla prova con l’epica del west, l’avventura pura e il citazionismo sfrenato. Il risultato è una gioia per gli occhi e uno sballo di storia che mischia un sacco di cose del settore avventura-orrore, ma lo fa con eleganza e classe, santo cielo, senza menare il can per l’aia. I due protagonisti dell’albo sono Hiram Lowatt, l’intellettuale yankee che alterna alla stilografica il fucile; e Placido il saggio, silenzioso capo-tribù che parla (molto) poco e pesta (molto) duro. Nella prima storia ci sono gli indiani, l’eco di Edgar Allan Poe e la tristissima, ferocissima storia della rivolta degli oggetti. Nella seconda storia, Hiram e Placido vanno in Alaska perché invitati a una conferenza e sprofondano in un altro incubo, stavolta a base di cannibalismo e cupa follia. In tutte e due le storie ci sono gli indiani, e sono fighissimi. In tutte e due le storie c ‘è un sacco di azione, una sceneggiatura che non perde mai di vista quello che sta narrando e disegni favolosi. L’unica nota negativa, come già è stato scritto su qualche altra rivista, è che i due autori non sono più tornati sui personaggi, purtroppo, e non sono uscite altre storie. Basta così, adesso, altrimenti non mi crederete più. Ma anche se avete deciso di non credermi più, fatelo un’ultima volta e leggete questo super fumetto.
Oblomov
Da dove partire? Dal fatto che una storia così breve possa trasmettere così tanto in chi la legge. Ecco da dove partirei.
“Il letargo dei sentimenti” Ishiki No Kashi in una versione giapponese di qualche anno dopo l’originale è un’opera di Igort che è nata tra il 1983 e il 1984. Pubblicata, trasportata in lingua giapponese, ripubblicata in Italia, ma di fatto mai così vicina all’anima di Igort come in questa edizione.
Un’edizione che stavolta compare per la casa editrice Oblomov che Igort ha contribuito a creare e che ora si è affiliata alla Nave di Teseo.
La storia è quella di un triangolo amoroso. Tsukuma, militare in carriera ha una relazione con Zusho il quale, essendo bisessuale si innamora di Naomi. Questo è il nucleo spogliato di tutto il resto. Il fatto è che il resto c’è e le tavole di Igort producono una certa pressione sullo stomaco e sulla mente.
L’ambientazione è quella di un Giappone futuro, un paese militarizzato, in cui il tempo è scandito dalle parate militari. La città è caratterizzata da un’architettura tutt’altro che sobria che a me ha ricordato i fasti del futurismo e certi manifesti di propaganda politica del ventennio fascista. Sembra che lo skyline sia composto di metallo e cemento.
I personaggi non hanno tratti delicati, anche le donne sembrano segnate da solchi profondi, metafora del tempo in cui stanno vivendo. Sembra impossibile essere felici, soprattutto quando non si riesce a scacciare il ricordo di quello che è stato il passato.
Si sviluppa la storia e ci accorgiamo che i colori dominanti nelle tavole cambiano. Il Giappone ha dei colori freddi, che mi viene da associare a qualcosa di asettico, artificiale. Qualcosa che mi sembra non possa avere vita. Mentre la Russia vira al rosso, in un primo momento si potrebbe pensare per l’ovvio accostamento al comunismo, ma a me piace pensare che si riferisca al sangue versato, all’epilogo degno della fine di un romanzo d’amore d’altri tempi.
Poi, basta leggere la postfazione di Igort, basta guardarsi le foto e scoprire le fonti di un’opera così tragica. I maestri dell’architettura, le stampe proibite di Utamaro, la foto di una spia, un piccolo ukyio-e.
Scrivere e disegnare una storia come questa, non necessariamente questa, ma una storia come questa significa essere condannati a non buttare via mai nulla di quello che dimora nella nostra memoria. “Il letargo dei sentimenti” è un’opera che si nutre di stimoli diversi, di campi culturali diversi e, per nostra fortuna, è un’opera che germogliando potrà nutrire a sua volta.
Igort, nome d’arte di Igor Tuveri, è personalità poliedrica di artista.
Autore prolifico di graphic novel pluripremiate, illustratore ed editore, è anche autore di racconti, romanzi e musiche. È stato il primo occidentale a disegnare un manga in Giappone e ha pubblicato su tutte le più prestigiose riviste italiane e internazionali.
Nutrendosi di lunghe permanenze in Giappone e nei paesi dell’ex Unione Sovietica, ha maturato uno stile espressivo che unisce la peculiarità del graphic novel, di cui è maestro riconosciuto e del graphic journalism, diventando una voce tra le più originali del panorama artistico internazionale.
Premiato al Comicon come migliore disegnatore del 2016, a Lucca Comics come migliore autore 2016, Premio Napoli per la diffusione della cultura italiana, Premio Romics alla carriera 2017.
Una casa editrice si deve giudicare da quello che pubblica. Pare un ragionamento scontato, ma molto spesso non lo è. Chi vogliamo essere? Che messaggio vogliamo trasmettere? E sprattutto, qual é l’anima della nostra casa editrice?
Oblomov è nata da poco. Io non conosco le persone coinvolte in questa impresa (definisco impresa ogni tentativo di creare dal nulla una casa editrice) anche se ovviamente conosco di fama Igort e so che Oblomov è imparentata con La Nave di Teseo. Non conosco gli attori, ma immagino che ad un certo punto Igort si sia chiesto: cosa voglio che sia Oblomov.
La graphic novel in Italia sta prendendo piede. Ci sono librerie con sezioni dedicate e se guardate la vostra bacheca su Facebook almeno un paio dei vostri amici ne sta leggendo una e la sta definendo un capolavoro. Oblomov entra in questo settore e ci entra alla grande. Ho già avuto modo di leggere alcuni dei primi titoli con i quali hanno esordito, ma oggi vorrei parlare di qualcosa di particolare. Qualcosa che non è una graphic novel.
“L’ora dei miraggi” di Manuele Fior non ha una trama, non ha dei dialoghi serrati e dei personaggi ai quali affezionarsi fino alle lacrime. “L’ora dei miraggi”, nelle vostre librerie, dovrebbe avere un posto a parte. Una nicchia dedicata ai testi sull’arte.
Questo volume racconta quindi anni di carriera di Manuele Fior. Fior è un artista che padroneggia con maestria molti linguaggi visivi e sfogliando il volume ve ne accorgerete. Dall’acrilico al carboncino, dalla tempera all’olio. Non c’è tecnica o materia che lui non abbia esplorato e in cui lui non abbia messo la propria anima.
“L’ora dei miraggi” è un diario di viaggio, le poche didascalie presenti nel volume ci restituiscono la voce di Fior in maniera limpida e a volte distaccata. Sembra quasi dire: faccio quello che faccio perché non c’è altro che avrei potuto fare. Questo sono io. Sono io in ogni immagine.
E allora, mentre ieri sera sfogliavo le pagine e mi soffermavo sui disegni che uno a uno mi si presentavano davanti, mi sono ricordato di quando a casa dei miei genitori mi buttavo sul letto con i volumi della Skira.
C’è quindi un po’ di tutto ne “L’ora dei miraggi”, diario, reportage, l’autobiografia di un lavoro, il piacere del disegno, le tappe di un destino segnato, le visioni del mondo che si intrecciano. Sono pagine da gustare senza frenesia.
E mentre ve le gustate con calma scoprirete che negli ultimi quindici anni Manuele Fior vi ha fatto compagnia e che magari non ve n’eravate accorti.
Cosa vuole essere Oblomov lo vedremo tra un po’. Però mi è chiaro fin d’ora che uno dei loro interessi è quello di battere sul tasto dell’arte e far conoscere l’artista oltre che la sua opera.
Manuele Fior è nato a Cesena nel 1975, ha vissuto a Venezia, a Berlino, a Oslo, ora risiede a Parigi. Artista di respiro internazionale è uno dei disegnatori più apprezzati in Italia e all’estero. Collabora con The New Yorker, Le Monde, Vanity Fair, a quotidiani come La Repubblica e Il Sole 24 Ore. Con il graphic novel Cinquanta chilometri al secondo ha vinto il Premio Fauve d’or come Miglior Album al festival Internazionale di Angoulême 2011.