Da qualche anno a questa parte ho deciso di non fare la classica lista di letture consigliate per gli acquisti di Natale. Tanto più che se vi serve un consiglio per comprare un libro da regalare significa che forse non conoscete bene quella persona e quindi non è il caso di mettergli un libro sotto l’albero. Ma a parte queste considerazioni personali mi auguro che dopo aver letto questa recensione, se sarete tra gli scaffali di una libreria, in preda agli spasmi di un acquisto compulsivo o, per l’appunto, indirizzati verso un regalo da fare a qualcuno (magari a voi stessi), beh, mi auguro che vi venga voglia di prendere in mano “Il volontario” di Salvatore Scibona e di sfogliarlo, di leggerne qualche pagina a caso e di fare come è successo a me, innamorarmene.
Il libro, per quel che mi riguarda parte in un modo tecnicamente perfetto, lasciando cioè delle strade aperte che all’apparenza sembrano non chiudersi, ma che alla fine rendono il libro davvero perfetto. La prima quella del ragazzino in aereoporto che parla una lingua incomprensibile, la seconda quella del soldato che lo va a prendere e viene colto dal panico e poi si parte sul serio con la storia de “Il volontario“, Vollie.
Scibona ci fa seguire le avventure di Vollie, dalla famiglia anonima in cui è nato, al Vietnam, dalle missioni suicide ai servizi segreti, dall’anonimato imposto dal ruolo alla comune fondata sull’amore libero, dall’amore libero alla violenza, ce le fa seguire facendoci immergere nella storia grazie ad una lingua che si rivela essere, fin dall’inizio, avvolgente. Tanto per capirci, avete presente quando fuori la temperatura è sotto zero, voi uscite di casa di mattina, quando è ancora buio, la brina ha imbiancato i prati e i campi e voi state letteralmente ghiacciando? Ecco, immaginatevi che qualcuno vi dia una calda sciarpa di lana lavata da poco, profumata e soffice…questo è l’effetto che ha fatto su di me la scrittura di Salvatore Scibona.
“Il volontario” è un libro avvincente, un libro difficile da mettere giù dopo averlo iniziato. C’è nelle sue pagine un livello di analisi della società americana davvero profondo. Partendo da quando Vollie decide di fuggire da casa e arruolarsi, come se l’idea di andare in un paese straniero e uccidere o farsi uccidere in nome di ideali ben poco chiari fosse molto più coinvolgente dell’idea di restarsene a casa propria e dedicare una vita di sacrifici alla terra e alla famiglia. Ma anche l’esperienza stessa del Vietnam viene vista sotto uno sguardo acuto, la determinazione della vergogna per aver partecipato ad un conflitto impopolare, l’essere costretto a rifarsi un nome per non dover affrontare gli sguardi severi dei compatrioti rimasti a casa. Ma, sia ben chiaro, questo non è un semplice libro sul Vietnam, è un libro che affronta le relazioni umane a un livello più alto, un livello che ingloba il conflitto in tutte le sue sfumature.
Tutto in questo libro mi fa dire: leggetelo. A partire dall’ipnotica copertina fino ad arrivare alla traduzione di Michele Martino. Quindi, fermo restando il vostro diritto di comprare e non comprare ciò che preferite, vi suggerisco solo di afferrare il libro, aprirlo a caso, leggerne un paio di pagine e poi trarre le vostre conclusioni che, sono sicuro, saranno molto simili alle mie.
Salvatore Scibona è nato a Cleveland, Ohio, nel 1975. Con il suo romanzo d’esordio, La fine (66thand2nd, 2011), è stato inserito nei 20 Under 40 del «New Yorker» e nella shortlist del National Book Award. Si è aggiudicato il Young Lions Fiction Award, il Pushcart Prize, l’O. Henry Award e il Whiting Award, oltre a ricevere un Guggenheim Fellowship. Attualmente dirige il Dorothy and Lewis B. Cullman Center for Scholars and Writers della New York Public Library.