Paratesto:

Avvicina piano le mani, assapora l’attimo in cui toccheranno l’oggetto, il libro che hai scelto. Guarda la copertina, cosa ti ricorda? Osservala bene perché contiene già un indizio chiaro di quello che troverai tra le righe del testo. Osservala bene perché l’avresti potuta trovare su una bancarella, sbiadita dal sole, in un suk. Apri il libro, non ti agitare, quello che ti sta guardando è l’autore. Osservane gli occhi, sono profondi, sono occhi di chi vede e capisce. Ti sta accogliendo in casa sua.

burhan

Testo:

E’  una macchina fotografica che ti accoglie. Non una digitale moderna, una vecchia macchina, un modello che potresti trovare dall’antiquario se ti va bene.
E il libro inizia da qui, da delle foto scattate dal fotografo Tataro, abbia inizio la storia.
Burhan Sönmez ci racconta la storia di un esule turco, Brani Tawo e della ricerca che compie nel tentativo di trovare la macchina fotografica che ha scattato una foto in cui il fotografo Tataro e lo zio di Brani sono assieme. La ricerca di un oggetto diventa immediatamente un viaggio nei ricordi, un continuo rimando tra il passato, e quindi l’eredità culturale di Tawo e il presente, ciò che è costretto a vivere ora.
E poi c’è Feruzeh, che siamo un po’ tutti noi perché funge da interlocutrice e da pretesto per Tawo che grazia a lei ci racconta la storia della sua famiglia. Sono sapori particolari quelli che ci arrivano leggendo “Gli innocenti”, il sapore della terra lontana dalla quale ci si è dovuti distaccare, il sapore della nostalgia, quel gusto rugginoso del non sentire l’appartenenza con la terra che si calca.
E poi c’è un vento caldo e carico di polvere rossa che spazza la pianura del Haymana e che ci porta, granello a granello la leggenda della famiglia di Tawo, l’epopea di un paese povero e derelitto in cui l’unica cosa che sembra abbondare sono i morti e i destini tragici che avvolgono le famiglie. Tawo, raccontando e facendosi raccontare da Feruzeh la sua storia di immigrata ci permette di entrare nello spaesamento del personaggio principale e, in seconda battuta, dello scrittore il quale ha condiviso lo stesso destino del protagonista della sua opera.
La non appartenenza lega queste due figure poetiche, che si perdono in conversazioni filosofiche e che, seduti ad un tavolino di un Pub mentre sorseggiano del The, affondano l’uno nella vita dell’altro.
Un libro è tanto importante quanto più riesce a costringerci a scavare dentro di noi. “Gli innocenti” ha la forza di smuovere alcuni paletti che sostengono la coscienza e fa riflettere profondamente sulla propria situazione, su quanto facile sia non sentirsi in sintonia con il luogo in cui si abita perché, come espresso nel libro, raramente si muore nel luogo che ci ha visto nascere.

Coordinate:

Burhan Sönmez è uno scrittore turco. Per un periodo della sua vita è stato costretto a rifugiarsi a Cambridge lasciando la sua terra di nascita. Inoltre è fortemente impegnato nelle questioni politiche che riguardano il suo paese, in particolare la rivoluzione di Taksim, arrivando a scrivere The Aesthetics of Resistance

Del Vecchio editore è una piccola casa editrice di Roma che esprime una passione enorme per ciò che pubblica. Le loro collane “Formelunghe”, “Formebrevi” e “Poesia” sono curate meticolosamente e le copertine si fondono alla perfezione con il contenuto dei libri. Troppo spesso vediamo copertine che non rappresentano minimamente il libro che contengono, copertine pacchiane, tutte uguali per cavalcare il successo di un bestseller, questo non accade alla Del Vecchio. La copertina si riappropria del libro che rappresenta.

La traduzione di Eda Özbakay è molto piacevole. Ed è piacevole perché è ben fatta. Riesce a non far perdere la sensazione che il libro arrivi a noi attraverso il vento del tempo. Vorrei che più spesso venisse reso onore a chi contribuisce a far uscire dall’oblio quei libri che rischieremmo di non leggere per ignoranza linguistica.

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