Burhan Sönmez sa come raccontare e io partirei da qui.
In realtà è una storia lunga, ma sarò breve. Non si era mai vista una nevicata così a Istanbul.
Partiamo da questo. Da questo incipit di “Istanbul Istanbul” che tradisce già la natura del libro. Da questo incipit che ci apre la porta ad un libro in cui la realtà si mescola al sogno, spesso per necessità dei protagonisti. “Istanbul Istanbul” è un forte richiamo all’oralità, all’arte di tramandare storie ed è, quasi esplicitamente, un omaggio al Decameron di Boccaccio. La distanza tra i due testi la dà il luogo in cui i nostri narratori si incontrano e il motivo per il quale si trovano assieme. Mentre nel Decameron i giovani fiorentini erano usciti dalle mura cittadine per rifugiarsi in campagna a causa della peste, in questo libro accade qualcosa di quasi diametralmente opposto. I nostri protagonisti sono rinchiusi in una cella, nel sottosuolo di Istanbul a causa di una peste ben peggiore di quella incontrata del 1348: l’essere umano.
Il grido di una città lacerata.
Kuheylan, Kamo il Barbiere, il dottore, Demirtay lo studente raccontano sé stessi attraverso le storie, attraverso i racconti tramandati. E’ un’ intermezzo ludico, a volte un modo per sfuggire alla realtà che si presenta sotto forma di una cella minuscola e fredda. La loro unica ragione di vita pare essere la possibilità, un giorno, di rivedere la vecchia e cara Istanbul. Istanbul che è, a tutti gli effetti, un organismo vivente. Una città che pulsa e soffre. Memore dei fasti antichi, della sua indicibile bellezza e poesia. Una bellezza che una città soltanto non riusciva a contenere e che ora è solo un ricordo perché, Istanbul è stata ferita dalla barbarie umana. Istanbul è agonizzante e non è più quella di un tempo perché gli esseri umani che la abitano si sono macchiati di crimini terribili, sporcando di sangue le strade e i muri di questa città.
La violenza, una presenza ingombrante.
Una violenza ottusa, crudele, bestiale; una violenza selvaggia, ma razionale, portata avanti con metodo. Una violenza che porta gli uomini sull’orlo della disperazione. Che li annienta, ma li lascia in vita, appena coscienti. Questo libro non è solo violenza, è anche violenza, ma nella parte che la riguarda ci sono delle pagine di letteratura che fanno venire i brividi. Che tolgono il sonno la notte.
L’attualità che bussa alla nostra porta.
E’ impossibile non fare un parallelo con ciò che sta succedendo, proprio in questo periodo, in Turchia. Sembra quasi che Buchan Sönmez abbia scritto un testamento anticipato, sembra che abbia lasciato un ricordo indelebile di ciò che è stata Istanbul e di ciò che sono stati gli uomini e le donne di valore che hanno calpestato il suo suolo. Uomini e donne per le quali questa città è stat costruita e per i quali questa città significa ancora qualcosa. Nella bellezza delle vedute di Istanbul si poteva intravedere la bellezza del suo popolo. Ora, ora che un velo di oscurità si sta abbattendo sulla Turchia, non dobbiamo dimenticare che la bellezza di quel popolo esiste ancora, ma va cercata più a fondo. Anche nelle celle sotterranee.
Quando una fine non basta.
Il finale di questo libro è una delle cose migliori che abbia letto. Una degna conclusione ad un’opera di narrativa che mi ha lasciato a bocca aperta. Una conclusione che, ovviamente, non posso citare, ma di cui posso dire una semplice cosa senza timore di rovinarla. E’ pura poesia. Poesi
Extra.
Magistrale traduzione di Anna Valerio, una lettura davvero toccante non poteva prescindere da una traduzione così.
Burhan Sönmez è nato ad Ankara nel 1965, dov’è cresciuto parlando turco e curdo. Avvocato specializzato in diritti umani, vive tra Cambridge e Istanbul e insegna Letteratura all’Università ODTU di Ankara. Ferito durante uno scontro con la polizia turca nel 1996, è stato curato in Gran Bretagna col sostegno della Fondazione “Freedom for Torture”. Ha cominciato a scrivere nei lunghi mesi di riabilitazione e oggi i suoi romanzi sono tradotti in piú di venti paesi. In Italia è uscito nel 2014 Gli innocenti, per il quale ha ricevuto il Premio Sedat Simavi.