Di questi tempi non so se sia una cosa cool da dire, ma cercando di rispettare un minimo di onestà quando sono arrivato all’incirca a metà del libro mi sono detto che questa storia l’avrei vista bene anche sul grande schermo, poi, arrivato alla conclusione ho cambiato idea, è decisamente un libro da serie TV.
C’è, nella scrittura di James Anderson una strizzatina continua ai linguaggi televisivi contemporanei. Solo per citare un esempio pratico, il Diner nel deserto è un luogo ideale per ambientare tonnellate di storie diverse. Anche i personaggi principali hanno delle enormi potenzialità, soprattutto Ben Jones. Considerando che stiamo parlando del primo volume di una saga, direi che lo stesso autore si è accorto di avere per le mani una materia molto promettente.
Ben Jones è un corriere, tipo quel ragazzo che vi consegna i pacchi di Amazon comprati durante il Black Friday, solo che Ben è un freelance, uno che ha un contratto con una ditta e va a consegnare merce lungo la statale 117, una strada persa tra le dune del deserto delle Utah dove nessuno, tranne lui, ha voglia di andare. Ha pochi clienti e quei pochi lo pagano quando capita. Ha debiti ingenti e gli stanno per portare via il camion nuovo e non ha nemmeno interessanti prospettive per il futuro. La vita di Ben viene sconvolta nel momento in cui, spinto dal bisogno urgente di svuotare la viscica, si trova davanti ad una casa costruita nel deserto e, dentro questa casa completamente priva di mobili, vede una donna che suona il contrabbasso. Attorno a questo incotro ruotano alcune trame parallele. Da una parte il rapporto con Walt, il burbero proprietario di un Diner che rimane sempre chiuso e che ha alle spalle un passato tragico, dall’altra Ben e le sue problematiche legate al proprio bilancio sgangherato.
Credo che la caratteristica che rende “Il diner nel deserto” una lettura davvero coinvolgente sia la presenza contemporanea di una serie di personaggi carismatici da cui risulta difficile staccarsi. Al di là dello stesso Ben, abbandonato dentro una coperta indiana da una madre che non ha mai conosciuto, abbiamo Walt e il suo dolore, Claire (la donna della casa) e il suo essere allo stesso tempo concreta ed eterea, ma abbiamo anche la giovane Ginny, intraprendente e spaventata per le conseguenze di un errore che ha commesso, i due personaggi che vivono dentro un vagone del treno piazzato chissà come nel deserto e il folle predicatore di una chiesa che sta dentro un ex negozio di utensili e che si porta sulle spalle per tutta la 117 una pesante croce di legno.
“Il diner nel deserto“, lasciata da parte la sua trama quasi da thriller, i suoi dialoghi duri e le sue ambientazioni desolanti, è soprattutto un libro sulla solitudine. Nella statale 117, in mezzo al deserto, in un luogo inospitale, ci si va per perdersi e per non farsi ritrovare. Ci si va per nascondere il proprio dolore e per disperdersi. In questo senso, il silenzio, più che le parole, segnano in maniera indelebile la crudezza dei personaggi, quel loro essere immersi nel vuoto, di notte, con il cielo stellato a far da soffitto. È questa l’essenza del libro, un vuoto privo di rumore che dovrebbe essere un rifugio, ma che diventa una prigione da cui è impossibile scappare.
Ottima traduzione di Chiara Baffa.
James Anderson è uno scrittore e poeta americano nato a Seattle, ed è stato l’editore della rinomata casa editrice Breitenbush Books. Il diner nel deserto è il suo romanzo d’esordio, che ha ricevuto moltissimi riconoscimenti di pubblico e di critica. NNE pubblicherà anche Lullaby Road, il secondo capitolo della Serie del Deserto.