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Giovanni Dozzini – E Baboucar guidava la fila

by Gianluigi Bodi
Baboucar

E Baboucar sarà pur stato quello che guidava la fila, ma di sicuro a chiuderla c’era Ousman. Almeno è così che me lo immagino questo libro. Mi immagino anche altre cose, se è per questo.

Forse è il caso di dire che questa è una recensione.

È il caso di ribadirlo, qui scrive di libri, si parla di libri, si cerca di raccontare il bello dei libri e poi, se il libro lo merita, si va in profondità e si cerca di capire perché un libro funziona e un altro no oppure, ancora meglio, si cerca di capire se ciò che ha fatto lo scrittore abbia prodotto i risultati sperati. Si arriva anche al punto di definire quella che potrebbe essere la tesi dell’autore riguardo un certo argomento pur sapendo che spesso quello che frulla per la mente dell’autore e quello che frulla nella mente del narratore potrebbero non abitare nella stessa zona. Questa è una premessa, credo, dovuta. Il fatto è che con un libro come questo si ha la tentazione di andare al di là del valore letterario e di provare a lanciarsi in indagini sociologiche, magari parlare di politiche di inclusione o del rapporto tra gli italiani e i migranti. Perché questo libro parla di migranti.

E Baboucar guidava la fila e poi c’erano Robert, Yaya e Ousman.

Quella raccontata da Giovanni Dozzini in “E Baboucar guidava la fila” è una storia che temporalmente occupa due giorni. Più o meno dal momento in cui Baboucar propone di andare in spiaggia fino al ritorno a Perugia di questi quattro ragazzi. Nel mezzo c’è una sagra di paese e la relativa band “Lory’s stars”, un viaggio in treno complicato, la spiaggia, un ragazzino che urla, una partita di calcio in TV, Carabinieri e un pronto soccorso. La trama è lineare e molto facile da seguire. Non ci sono sottotrame imponenti, nulla che distragga da questi quattro ragazzi africani che camminano sotto il sole per arrivare alla spiaggia.  Abbiamo Baboucar e il suo amore per Mariam (che se ne sta sempre attaccata al cellulare), Robert e le sue difficoltà linguistiche, Yaya e l’avversione per i francesi, nonché la teoria sugli attentati sul suolo parigino e Ousman con la sua ossessione per Lory. 

Sotto la superficie.

Eppure una trama all’apparenza semplice nasconde delle insidie. Dopo aver letto questo libro mi sono chiesto che tipo di sensazione mi avesse lasciato addosso. Dopo attenta riflessione sono giunto alla conclusione che “E Boubacar guidava la fila” riesce con molta semplicità a rendere chiaro il concetto che per quei quattro ragazzi ogni cosa è complicata. Prendere il treno è complicato, ordinare un caffè è complicato, andare in spiaggia è complicato, ma soprattutto, instaurare una relazione di qualsiasi tipo è dannatamente complicato. Quando se ne vanno dalla fiera paesana, si ritrovano a casa di due donne italiane ed è chiaro fin da subito cosa passi per la testa di una di loro due. Questa donna li guarda come si guarda un giocattolo e dubito che lo sguardo sarebbe diverso se al posto suo ci fosse stato un uomo intento a guardare una donna di colore. Yaya non ne può più, la trova stupida e la troviamo stupida anche noi, anche sa ad un certo punto veniamo quasi mossi a compassione perché ci rendiamo conto che anche lei è, a suo modo, sola. Ousman matura una vera e propria ossessione per Lory, la cantante della festa paesana e mi viene da chiedermi perché, cosa ci trovi in lei, quale sia il messaggio che il suo corpo morbido arriva a Ousman. In lei sembra vedere una specie di isola di salvezza, un isola che Ousman decide di non poter raggiungere. 

Ogni cosa è complicata per loro. Gli sguardi sono taglienti, la diffidenza è palpabile, si paga prima di consumare, si fanno domande banali che però hanno risposte giuste e risposte sbagliate che possono risultare fatali. Niente è semplice per Baboucar, Yaya, Ousman e Robert eppure forse dovrebbe.

Mi sono ritrovato alla fine del libro senza nemmeno accorgermene e, pur avendolo chiuso e messo nello scaffale Minimum Fax, mi rendo conto che quei quattro ragazzi ce li ho ancora davanti, che mi dispiace per loro e un po’ mi dispiace anche per me. Questa è una lettura che vi consiglio, il libro ha poco più di 140 pagine e anche se non so dirvi con precisione ed esperienza diretta che le cose si svolgano effettivamente così mi piace pensare che Giovanni Dozzini sia stato in grado di portare un po’ di luce dove prima c’era l’ombra.

Giovanni Dozzini (1978) è nato a Perugia. Giornalista e traduttore, suoi articoli sono stati pubblicati su Europa, Huffington Post ItaliaPagina99, OndaRock. Ha scritto altri tre romanzi: Il cinese della piazza del pino (Midgard 2005), L’uomo che manca (Lantana 2011) e La scelta (Nutrimenti 2016). È tra gli organizzatori del festival di letteratura in lingua spagnola Encuentro.

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