C’è una cosa da dire, in generale, quando sei al Salone del libro di Torino lo stand di Spartaco Edizioni si vede ed è riconoscibile. Quella parete piena di colori mette buon umore. Il progetto grafico è chiaro e accattivante. Come nella copertina del romanzo di Alberto Maria Tricoli in cui, un giallo che riverbera il deserto, svetta un uomo su un asino. E quell’uomo è funzionale alla storia, non solo quella del libro.
A volte c’è bisogno di un libro per mettere in prospettiva le cose. C’è bisogno di un libro che ti dica che i grandi eventi, quegli eventi che hanno cambiato la storia mondiale e che riverberano ancora, quegli eventi lì sono costruzioni complicate, fatte di piccoli pezzi e quei pezzi sono gli uomini normali. Come me, come te. A volte c’è bisogno di un libro che ci ricordi che l’eccezionale sta nella nostra via, sotto casa nostra, dentro casa nostra.
“Lo scemo di guerra e l’eroe di cartone” di Alberto Maria Tricoli fa appunto questo. Prende uno sceniario che conosciamo fin troppo bene nei suoi aspetti generali e punta lo sguardo sul particolare. Il generale ovviamente si configura nelle grandi manovre che hanno visto il mondo scontrarsi nella seconda guerra mondiale. Il particolare inizia a Vazzarìa, un paese dell’entroterra sicialiano, e ci racconta la storia di Nirìa un disertore e di Libbertu, un personaggio realmente esistito che per fare la differenza si arruola con le camicie nere. Attorno a loro i personaggi che popolano il paese e lo rendono reale.
Quello dei protagonisti non è un viaggio semplice. I toni passano dal grottesco al tragico, dal sorriso alla disperazione. La lettura di questo libro è quindi simile ad un viaggio sulle montagne russe. Salite e discese, curve secche e dolci svolte.
Uno sguardo molto attento va dato all’uso della lingua che Alberto Maria Tricoli adopera per raccontare questa storia. “Lo scemo di guerra e l’eroe di cartone” ha un sapiente miscuglio di italiano, in cui si percepiscono forti influenze dialettali nella costruzione delle frasi, e una forte dose di dialetto che non fa altro che rafforzare, a mio modo di vedere, il legame tra la storia raccontate e la terra che fa da sfondo. L’uso del dialetto, nonostate a volte alcune frasi necessitino di una seconda lettura, non appesantisce mai la narrazione anzi, l’accompagna. Il dialetto diventa quasi una cantilena di sottofondo, per cui a volte viene da chiedersi se non si poteva scrivere tutto il libro in dialetto. La musicalità delle parole può fare questo miracolo.
Alberto Maria Tricoli nasce a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, nel 1977. Si trasferisce a Roma spinto dalla passione per l’arte, che lo porta a laurearsi in Lettere (indirizzo Storia dell’arte contemporanea) all’università La Sapienza e a conseguire un master di secondo livello in Psicologia dell’arte e dell’organizzazione museale. Maturata esperienza in aziende nel settore dell’illuminazione artistica e dell’organizzazione di eventi, partecipa all’allestimento di importanti mostre . Nel 2007 torna in Sicilia e si dedica alla pallacanestro, suo amore giovanile. Qui allena squadre femminili e maschili di diverse categorie. Nel 2009, assieme al fratello, apre una tipografia digitale nel suo paese, Sommatino (Cl), dove attualmente vive e lavora. Autore di saggi e biografie di artisti, Lo scemo di guerra e l’eroe di cartone è il suo primo romanzo.