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Ready player one: ho sentito come una perturbazione nella forza

by Angelo Orlando Meloni

Ready player one è un romanzo di Ernest Cline, con traduzione di Laura Spini, a copertina splendente e formato mattone ripubblicato da De Agostini Planeta per l’uscita dell’omonimo blockbuster pigliatutto di Steven Spielberg. Una di quelle pubblicazioni affette da gigantismo e in grado di destabilizzare una libreria e mandare in cacca anni di delicati equilibri catalogatori. Per inserirlo negli scaffali devi inoltrare agli uffici comunali la comunicazione per i lavori di ristrutturazione straordinaria. Libri così vanno benissimo per chi ha poca roba, ma si vuole dare una posa. Basta qualche ultra-rilegato a cubatura maxima e la tua libreria strariperà di kultur, per il resto del mondo però sono solo grattacapi. E allora perché mi sono messo dentro casa ‘sto mostro, dirà qualcuno? Ma voi avete mai chiesto a un tossico perché si fa? Si tratta di impulsi che sono finalizzati a quel rilascio di endorfine che comincia quando sfogliate il libro prima di pagarlo e finisce poco dopo, una volta tornati a casa. All’improvviso con quel cartonato da tre chili e la copertinalucidademmerda sotto il braccio non vi sentite più a vostro agio, passate di fronte alle macerie dei romanzi mai letti sul vostro comodino, sudate freddo, la vostra libreria guaisce e sentite come una perturbazione nella forza.

Perturbazione nella forza che in verità ho continuato ad avvertire anche quando ho letto il romanzo: la prima parte è uno spiegone infinito che trascina la carcassa dei lettori per pagine e pagine in modalità “ne rimarrà soltanto uno”. O per meglio dire rimarranno soltanto quei lettori dalla scorza dura che, incerottate le ferite e finiti gli spiegoni, potranno salire in carrozza e godersi la storia. Indubbiamente all’autore servivano un po’ di pagine per illustrare i presupposti dell’universo virtuale in cui ha ambientato la sua caccia al tesoro, ma niente potrà togliermi dalla testa che c’erano molti altri modi per rivolvere il problema. Che questo non sia un grande biglietto da visita per un romanzo è pacifico, ma tant’è, in fondo poteva andare peggio. Ready player one poteva essere il parto di un intellettuale blasé che ha scoperto P. K. Dick a quarantacinque anni, pensa che la parola “letteratura” sia sinonimo della parola “dolore” e non saprebbe raccontare con i dialoghi nemmeno se Elmore Leonard gli passasse il compito sotto il banco. Oppure di uno di quei ragazzetti youtubi intrippati con i videogiochi; e sarebbe uscito in una collana con le alette vuote (non so se avete presente il tipo di edizione), intitolato Player one di noi. Fortuna vuole allora che lo abbia scritto un vero nerd, sano di nerditudine come mamma l’ha fatto. E pazienza se le prime pagine non (mi) sono piaciute, pazienza se tutto il romanzo è un po’ troppo telefonato e come andrà a finire lo sai e lo hai sempre saputo e man mano che leggi ne sei sempre più convinto. In qualche modo arrivi alla fine e stai tutto il tempo a pensare ai super robot come non ci pensavi da anni e di anni ne avevi dieci e sapere che ci sarebbe stata una puntata del Grande Mazinga ti faceva svoltare la giornata.

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