Home Inchiostro Fresco - Recensioni di libri letti da Gianluigi Bodi Madeleine Thien – Non dite che non abbiamo niente

Madeleine Thien – Non dite che non abbiamo niente

by Gianluigi Bodi
Madeleine Thien

Ho lasciato che un po’ di polvere si depositasse su questo libro. Che la meravigliosa e delicata copertina che rimanda all’arte asiatica, ad uno stile di vita diverso dal nostro, restasse lì in un angolo come una discreta presenza. Ogni tanto prendevo il libro, me lo rigiravo tra le mani, ne assaggiavo la compattezza, la leggera ruvidità della copertina. Ho pensato spesso che a volte, la veste grafica sembra creata in simbiosi con il contenuto.
E dopo tutti questi giorni, settimane, è diventata sempre più forte la convinzione che questo libro nato in Italia nel 2017 resterà con me ancora per parecchi anni.

Non mi capita molto spesso di leggere le prima sei righe di un libro e di decidere immediatamente di avere in mano un capolavoro. Scusate se mi azzardo a definirlo un capolavoro in tempi in cui questa parola sembra aver perso di significato. Non sarebbe andata peggio se lo avessi definito un libro importante?
Il succo del discorso è che si comprende benissimo fin dall’inizio che la scrittura di Madeleine Thien in “Non dite che non abbiamo niente” è una scrittura delicata e accogliente, proprio come i fiori dipinti in copertina. Una scrittura che sembra nata apposta per raccontare questa unica storia. Una scrittura che non lascia tregua eppure non è asfissiante. Non cerchiamo di arrivare alla fine del libro perché ci sentiamo senza respiro. Desideriamo andare avanti di pagina in pagina perché ci sentiamo accompagnati, sospinti con un braccio appoggiato dolcemente sulla spalla. E respiriamo, o sì che respiriamo, respiriamo aria pura e fresca.

Non dite che non abbiamo niente” è un libro che ripercorre settant’anni di storia Cinese e, nel farlo, ripercorre anche momenti di terrore e repressione.
Marie vive a Vancouver (proprio come la scrittrice). Le prime righe del libro ci raccontano subito che ha perso il padre. Una prima volta quando aveva rotto con la madre, una seconda volta nel 1989 quando si è tolto la vita. A dieci anni Marie è costretta ad accogliere nella propria casa Ai Ming, una parente adolescenti che è dovuta fuggire dalla Cina a causa delle repressioni che sono seguite ai fatti di Piazza Tienanmen. Questo evento porta allo scontro tra due identità sepolte all’interno di Marie. Quella occidentale, acquisita in qualche modo vivendo in Canada e quella cinese, ereditata dai genitori e decifrabile a fatica, proprio come a fatica coglie parole di una lingua che non sente completamente propria ma che vorrebbe saper esplorare. E’ in questo vuoto di significato che lei cerca di rinforzare il legame con il padre defunto. Mentre Madeleine Thien descrive l’incontro tra le due riusciamo a vederlo, riusciamo a percepire una danza di avvicinamento, uno scrutarsi reciproco. Suoni che a volte si rivelano ostici e la respingono e che altre volte diventano un richiamo ammaliante. E poi, delle leggere intrusioni nella vita dell’altra. Una progressione che monta pagina dopo pagina e che svela pezzi del passato.
Ai Ming ha il compito di accompagnarla all’interno di un sistema di segni e simboli che Marie vuole comprendere e contemporaneamente le farà scoprire il proprio passato. Un passato caratterizzato da un forte rapporto con la musica e con il conservatorio di Shangai. Fino a che la repressione non cambia le carte in tavola e anche la musica diventa un motivo sufficiente per essere presi di mira.

La storia di Marie, di Ai Ming, dei genitori di queste due ragazze diventa un pretesto per abbracciare la storia di un paese intero. Con le sue tragedie e i suoi dolori. “Non dite che non abbiamo niente” non è un libro facile da digerire. E forse è un bene così. Quando i personaggi ti rimangono attaccati addosso con così tanta caparbietà non può che significare che abbiamo letto un grande libro.
Il mio parere è che Madeleine Thien sia riuscita a condensare all’interno di questo libro una storia profondamente personale ed intima e una storia universale. Credo che la lingua e lo stile utilizzato, quella vena di malinconia che è sempre percepibile nelle pagine siano degli elementi che contribuiscono a rendere il libro un’esperienza di lettura appagante.

Vorrei poter dedicare una standing ovation a Maria Baiocchi e Anna Tagliavini. Questo è un libro difficile, impervio. Lo capirebbe anche un lettore occasionale. E’ un libro che mescola oriente ed occidente, mescola vite e stagioni diverse, mescola culture. Il risultato della traduzione a quattro mani è da applausi.


Madeleine Thien è nata a Vancouver nel 1974, anno in cui i suoi genitori si sono trasferiti in Canada dall’Estremo Oriente (il padre è cino-malese, la madre di Hong Kong). Nel 2001 esce il suo primo libro, Simple Recipes, una raccolta di racconti che le vale l’elogio della connazionale Alice Munro e l’inserimento nella short list del Commonwealth Writers’ Prize, seguito a pochi mesi di distanza da The Chinese Violin, libro per bambini illustrato da Joe Chang. Il successo internazionale arriva con Certezze (2006), uscito in Italia per Mondadori e tradotto in sedici lingue. Il quarto romanzo della Thien, L’eco delle città vuote, è stato pubblicato da McClelland & Stewart nel 2011 e successivamente da Granta Books (2012). Con Non dite che non abbiamo niente è stata finalista al Man Booker Prize 2016 e si è aggiudicata il Scotiabank Giller Prize 2016.

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