In questa categoria si collocano tutte le recensioni di libri scritte dall’amministratore del sito Gianluigi Bodi. Inchiostro fresco sta a significare, secondo il pensiero dell’autore, un modo per identificare il lavoro svolta dalle piccole e medie case editrici indipendenti. Case editrici indipendenti che, con il loro lavoro di ricerca, possono permettersi di pubblicare libri molto spesso eccezionali che però devono lottare contro quando esce dagli enormi conglomerati editoriali. Non sempre essere pubblicato da grandi case editrici è sinonimo di qualità e non sempre chi pubblica per una piccola realtà editoriale lo fa per mancanza di alternative. Le piccole case editrici hanno, nella maggior parte dei casi, una solida competenza, un piano editoriale serio e lungimirante e un gusto per la scoperta.
E’ quindi giusto dare spazio a queste realtà, fare in modo che anche un solo lettore in più possa scegliere di uscire dal mainstream e tuffarsi un un mare inesplorato.
Inchiostro Fresco non dichiara guerra alle grandi case editrici, non afferma che qualsiasi cosa che esca dai colossi sia il male e non pretende di assumere a modello di perfezione il lavoro delle case editrici indipendenti. Il significato è altrove. Nel mezzo, forse. Inchiostro Fresco tende a mostrare che c’è dell’altro, dell’altro che a volte va cercato scavando con le unghie. Dell’altro che ha un sapore di scoperta e di conquista.
Ci sono libri belli, libri bellini e libri bellissimi, libri commoventi, libri appassionanti, libri istruttivi, libri illuminanti, libri brutti, libri bruttini e libri bruttissimi. E poi ci sono i libri “importanti”, quelli che dobbiamo leggere per non fare la figura dei fessi e dobbiamo pure farci piacere. Ma siccome farsi piacere qualcosa per forza può essere complicato, meglio dire che quel qualcosa è “importante”. Cioè, lo sappiamo benissimo che dire “è un libro importante” è come quando diciamo di qualcuno “è un tipo”, ma così è la vita. È una cosa fatta di apericene, film d’autore e libri così illeggibili che al solo pensiero ci si ghiaccia il sangue nelle vene, perché ciò che conta è preservare le apparenze e arrendersi al masochismo culturale. Ecco cinque libri importanti, veramente importanti, cinque opere-cilicio che tutti dicono di conoscere, ma che secondo me quasi nessuno è riuscito a finire evitando sofferenze inenarrabili.
Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino: romanzo fiume, ma che dico fiume, romanzo-oceano più volte rivisto e accresciuto dal suo autore, probabilmente arriverà a diecimila pagine. Un diluvio di parole, uno scilinguagnolo infernale in cui il lettore si perde e va alla deriva come un naufrago senza bussola. Anche perché dentro quel libro la bussola impazzirebbe. Come quando da bambini ripetevamo una parola fino a che non significava più niente, chi legge questo romanzo rischia di dimenticarsi il suo nome. Ci navigo dentro da anni con la mia imbarcazione di fortuna, fatta di una laurea in santa pazienza e un master in capacità di abnegazione per motivi ridicoli, e una volta ho avvistato un altro naufrago alla deriva dentro il libro, proprio come me. “Oooh… della zattera, da quanto tempo siete in mare?”, e appena ho visto la barba chilometrica dello sconosciuto, nonché le occhiaie e il volto scavato del meschinello, mi sono reso conto che non avrei dovuto porre la domanda.
Infinite jest di David Foster Walace: otto miliardi di pagine e al secondo rigo l’autore ci fa sapere che la sua postura “segue consciamente la forma della sedia”. Non ci vuole molto a capire che il romanzo sarà pieno zeppo di informazioni succosissime, tutte necessarie e strettamente connesse allo sviluppo dell’intreccio.
Mason & Dixon di Thomas Pynchon: un monolito cementato con una dose di informazioni talmente compatte da schiacciare qualunque velleità narrativa. Se il postmodernismo implica che i romanzi debbano diventare noiosi come i saggi, possiamo dire che l’obiettivo è stato raggiunto.
Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust: lo leggi ed è subito divagazione, rigo dopo rigo, divagazione e ancora divagazione e ancora divagazione e ancora divagazione che divaga divangando. Dopo un po’ ti cominci a chiedere quando comincerà la storia, ma a quel punto sei già arrivato al terzo volume della saga e non puoi più farne a meno. Ipnotico come pochi, è stato adottato da Tana delle tigri per condizionare psicologicamente i lottatori a trasformare il dolore in piacere durante i combattimenti più duri.
Finnegan’s wake di James Joyce: “Fluidofiume, passato Eva ed Adamo, da spiaggia sinuosa a baia biancheggiante, ci conduce con un più commodus vicus di ricircolo di nuovo a Howth Castel Edintorini”. C’è da aggiungere altro? Oh, sì, c’è da aggiungere che il tonitruante capolavoro di James Joyce, già usato per il lavaggio del cervello dal KGB e dalla CIA, è talmente “fluidofiume” che il traduttore e il correttore di bozze dopo tanta fatica si sono confusi e nel primo rigo c’è una “d” eufonica sbagliata, che fa somigliare l’incipit del romanzo più sperimentale della storia a uno dei tanti status da social network, di quelli sgrammaticati e gentisti a bbbestia.