Paratesto:
La copertina azzurra, come il cielo, sembra la porta ad un mondo paradisiaco, sembra invitarti in mondi abitati da serenità e tranquillità. Ti ammalia, ti calma, ti fa avvicinare a sé, come se fosse un dolce fiore profumato e ti inganna, rivelandosi un spianta carnivora.
Eppure il gatto nero, animale malizioso e misterioso dovrebbe metterti allerta.
State per entrare in un mondo in cui non ci sono innocenti. Nemmeno voi.
Testo:
Una raccolta di racconti aumenta di valore ai miei occhi se i racconti sono coesi tra loro, se hanno un filo conduttore che di singole perle ne fa una collana. Nella raccolta “Il vento distante” di Pacheco il fil rouge è la vittima.
I racconti non sono un equilibrio di vittime e di carnefici, sono tutti, dal primo all’ultimo, delle vittime. E’ una guerra tra poveri quella che Pacheco mette in scena, anche chi sembra trionfare in realtà trionfa sul debole. E il suo innalzarsi nei confronti degli altri è solo illusorio. Sono tutte vittorie inutili, che non sollevano il trionfatore da un livello di mediocrità in cui è destinato a sprofondare.
Ne è esempio “Parco divertimenti”, un Luna Park popolato di creature e personaggi bizzarri, sempre in bilico tra il riso e il ghigno, in cui gli spettatori sono essi stessi spettacolo, in cui non c’è distinzione tra chi guarda e chi è guardato e la struttura circolare rende il racconto tragico e malvagio.
E poi c’è una sorta di crudeltà innegabile. Un destino ineluttabile come in “La Regina” che condanna i personaggi e che pare avere anche l’autore tra gli spettatori. C’è un accanimento nei confronti dei più deboli che paiono non avere scampo. Quando sono atterra stremati allora iniziano i calci sullo stomaco.
Le lacrime per Pacheco sono il simbolo della sconfitta, non sono mai purificazione e sembra che i bambini piangano perché hanno compreso quale sarà il loro destino.
“Il vento distante” non è una raccolta di racconti semplice da affrontare. Non è consolatoria, si arriva a pensare che non ci sia una via d’uscita a tutto il male della terra.
Coordinate:
José Emilio Pacheco era un autore messicano. La sua produzione maggiore è nell’ambito della poesie e la cosa si nota mentre leggete i racconti della raccolta “Il vento distante”. Si riesce infatti a percepire la poeticità della lingua, la scelta oculata della parola giusta, il ritmo che contribuisce a creare l’atmosfera di anagoscia e la capacità di ricreare immagine visive d’impatto con poche righe.
La casa editrice che ha pubblicato questo libro è la Sur edizioni. Non è un mistero che Sur sia un fiore nato su un ramo della Minimum Fax. Sur però ha una propria identità che diviene evidente non appena si da un’occhiata al loro catalogo completamente composto da testi latinoamericani. Sur ha il piglio del figliolo che per tanti anni ti ha vissuto in casa e che ad un certo punto decide di andarsene a cercar fortuna in altri lidi per cui non mi stupirei se l’indipendenza dalla casa madre diventasse sempre più marcata. Di buono c’è di sicuro il fatto che in un momento in cui molte editrici puntano al mercato digitale Sur mette il libro cartaceo al centro del progetto creando un artefatto che risulta piacevole allo sguardo e altrettanto piacevole al tatto. Inoltre hanno la buona abitudine di avere un rapporto molto stretto con le librerie indipendenti e ciò, a mio giudizio, non guasta.
Il traduttore di questa opera è Raul Schenardi, di lui parlerò in futuro in maniera approfondita, mi limito qui a dire che pare molto a suo agio all’interno del mondo creato da Pacheco. I racconti di un poeta hanno un ritmo completamente diverso da quelli dei narratori di professione. Soprattutto nei racconti più brevi, infatti, il ritmo del teso che Schenardi imprime con la sua traduzione non fa rimpiangere l’originale.