Stig Dagerman è uno scrittore unico, una grande penna che ha lasciato un segno. Una straordinaria intelligenza anarchica, un narratore lucido che non arretrava mai davanti alle difficoltà, cercatore assoluto della verità attraverso la letteratura.
Fu proprio questa convinzione che lo spinse nel 1946 a accettare l’invito dell’Espressen. Il giornale lo inviò in Germania e gli commissionò una serie di reportage in cui lo scrittore svedese raccontò le macerie tedesche dopo la disfatta del nazismo.
Da quegli articoli nacque Autunno Tedesco (traduzione di Massimo Ciaravolo), un libro che adesso esce da Iperborea.
Un libro che è considerato ancora oggi una lezione di giornalismo letterario.
Dagerman, infatti, non è un giornalista ma uno scrittore. Da scrittore, anzi da narratore puro, libero da ogni pregiudizio nelle pagine dei suoi reportage si avventura tra le macerie della Germania postnazista, la attraversa per intero, visitando Amburgo, Colonia, Berlino, fornendo al lettore spaccati di vita vissuta, raccontando in presa diretta la vita e il disagio dei tedeschi storditi ancora dalla fine della guerra e dalla capitolazione della loro nazione, messa in ginocchio tragicamente.
Giorgio Fontana nella postfazione scrive che Dagerman, fra gli scrittori del Novecento, è uno dei più puri, chiunque abbia letto anche una delle sue pagine ne riconosce subito l’urgenza e la mancanza di compromissioni. In Autunno tedesco tali qualità sono al servizio di domande che scuotono la buona coscienza del lettore.
Dagerman è uno uomo libero e quindi uno scrittore sincero, come Albert Camus anche lui pensa che compito di chi scrive è quello di dare l’allarme.
Egli attraversa le macerie della Germania e in quell’autunno del 1946, da autentico uomo in rivolta, nelle tredici storie che racconta non si sottrae mai a mettere sulla pagina la realtà che tocca con mano, senza mai ricorrere a abbellimenti.
La sua prosa è tagliente. Quando si aggira tra le case crollate e le rovine della città bombardate la sua testimonianza, grazie a un acume straordinario, si fa letteratura che non cessa mai per un attimo di farsi dolore e sofferenza per tutta questa tragica distruzione che ha condannato a morte una nazione e il suo popolo.
Nel bellissimo Rovine, per esempio, Dagerman , viaggiando verso Amburgo, tocca con mano la catastrofe della distruzione e nelle sue pagine ce la racconta affondando la penna come un bisturi nella carne viva dei tedeschi sopravvissuti e delusi di cui tratteggia un ritratto commovente:« Questi uomini sono le rovine della Germania, ma per il momento altrettanto inabitabili dei cumuli di case crollate tra Haslbrook e Landwher, dall’odore acre e amaro di incendi estinti nell’umido crepuscolo autunnale».
Autunno Tedesco è attraversato da immagini forti e potenti. Dagerman è uno scrittore che con precisione coinvolge il lettore nei risvolti drammatici di questo viaggio in una Germania di cui lui con la penna ci mostra tutta la sua drammatica miseria.
Letteratura e sofferenza è l’articolo che chiude il libro e può senza dubbio considerarsi il manifesto del pensiero di Dagerman.
Lo scrittore è già sull’aereo che lo riporta in Svezia. Mentre è in volo tira le somme di questo drammatico autunno tedesco che ha visto in prima persona e che racconterà in un libro.
Mentre ritornano alla mente le persone incontrate e i luoghi visitati, Dagerman è sempre più convinto che l’unico modo per raccontare tutta la sofferenza della Germania è la letteratura e non il giornalismo. Per lui il giornalismo è l’arte di arrivare troppo tardi, il più in fretta possibile.E d è convinto che non lo imparerà mai.
«Qual è la distanza tra letteratura e sofferenza? Dipende dalla natura della sofferenza, dalla sua prossimità, o dalla sua intensità? È più vicina alla poesia la sofferenza causata dal riflesso del fuoco o quella che nasce dalla fiamma stessa? Esempi vicini nello spazio e nel tempo mostrano un legame praticamente diretto tra la poesia e la sofferenza lontana, conclusa».
Stig Dagerman vede la letteratura come una vasta zona di disagio e lo scrittore deve entrarci dentro cercando di dare voce a quella sofferenza che appartiene a tutti noi.