Quando un libro viene dichiarato da tutti come uno dei migliori usciti nello scorso anno viene voglia di recuperarlo. Un po’ per invidia. Insomma, l’hanno letto tutti e tu no. Un po’ perché se si tratta davvero di un bel libro è un peccato non averlo letto, giusto? Poi subentra anche un terzo motivo, cinico, quel mezzo pensiero di voler distruggere le recensioni precedenti raccontando che il libro tanto osannato è una mezza delusione.
Nel caso di “Sembrava una felicità” di Jenny Offill l’unica cosa che posso dire, la cosa più d’istinto, è che sono felice di averlo recuperato. Ho già un serio innamoramento nei contronti del catalogo NNeditore. Siamo al limite della polilgamia.
Comunque “Sembrava una felicità” è un libro granulare. Un libro composto da tanti ingredienti. Inizia a leggerlo e ti succede come quando prepari una ricetta complessa. Noi puoi credere che gli ingredienti che hai sul tavolo alla fine diventeranno un dolce, un primo o un secondo.
La sensazione che ho avuto leggendo la storia di questa scrittrice “vagamente” depressa, con una figlia dall’intelligenza viva e variegata (che di per sé, per una che sta male, è ulteriore fonte di depressione) ed un marito che la tradisce. Una donna amareggiata, che ha perso la strada da qualche parte nel passato e non sa nemmeno più lei dove. Una donna che cerca una via di fuga, che la lambisce con lo yoga, con la filosofia e la psicologia, ma che in fin dei conti la trova con una fuga. Lasciandosi alle spalle la città e rifugiandosi in campagna forse c’è la possibilità di trovare un nuovo inizio, per lei, per la coppia e per la figlia.
La lettura procede tra pensieri e pensierini, tra massime di scrittori e filosofi. Procede tra tentativi di felicità inconcludenti e, forse ancor più importante, procede per accumulazione. Quelli della protagonista sono piccoli passi, tentatiti a volte riusciti a volte a vuoto, di dirigersi verso ciò che sembra una felicità e che magari lo sarà.
Forse, quello che semrbava una felicità non lo era, forse nessuno ha ben chiaro cosa sia per lui la felicità fino a quando non la trova, dopo innumerevoli tentativi a vuoto.
Un plauso a Jenny Offill. Costruire un romanzo fatto di piccoli periodi e brevi frasi è complesso. Si rischia di perdere il lettore, disorientarlo, non fargli capire dove stai andando a parare. La Offill invece è talmente tanto brava da riuscire a tenere le redini del gioco e portarci in fondo. E quando arrivi alla fine, tutti quegli ingredienti dai nomi difficili, sono diventati una fantastica torta che sarai felice di condividere con gli altri.
Ottima come sempre la traduzione di Francesca Novajra, tra le altre cose sto leggendo alcune interviste della Paris Review tradotte in italiano e c’è il suo zampino.
Jenny Offill è autrice del romanzo Last Things, scelto come “Notable Book” dell’anno dal New York Times e finalista per il Los Angeles Times First Book Award. Coeditor, con Elissa Schappell, di due antologie di saggi, ha scritto libri per bambini, insegna Scrittura alla Columbia University, alla Queens University e al Brooklyn College. Sembrava una felicità è finalista al Folio Prize.
16 comments
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Dice @Gianluigibodi che #SembravaUnaFelicità di Jenny Offill è “un libro granulare”, e spiega anche in che senso: https://t.co/BTs7MZtmWO
grazie!
Qui se c’è qualcuno che deve ringraziare (un bel po’ di gente) sono io.
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