Avevo sentito parlare di questo libro mesi fa, quando era uscito in America e poi quando lo avevano candidato al Booker Prize. Percival Everett aveva scritto un libro, ma in realtà ne aveva scritti tre. Tre versioni di uno stesso libro, di una stessa storia, che differiscono per alcuni particolari, a volte minuscoli a volte più corposi. Il lettore che dovesse entrare in una libreria e comprare “Telefono” non può sapere quale delle tre versioni si porterà a casa.
Finalmente La Nave di Teseo pubblica le tre versioni di “Telefono“. Io ne ho letta una, non so quale, so che alcune versioni differiscono anche per il finale, lasciandolo aperto, ma se parlassi del finale rischierei di fare spoiler per cui evito.
“Telefono” di Percival Everett è un intreccio di storie. Zach Wells è spostato e ha una figlia, lavora all’università come paleontologo. Ha una vita che potremmo definire normale, forse non è completamente felice per un sottile senso di insoddisfazione che serpeggia costante nella sua vita, ma l’insoddisfazione è comune a molte persone. Attorno a Zach Wells si sviluppano molteplici trame. Quella che lo vede alle prese con la malattia della figlia, quella che lo mette di fronte alle avance di una studentessa, quella che lo avvicina pericolosamente a una collega sul punto di perdere il lavoro e quella che gli fa scoprire all’interno di un capo di abbigliamento usato una richiesta di aiuto scritta in spagnolo.
Le trame si sviluppano parallelamente, immagino che nelle tre versioni del libro, questo sviluppo non segua sempre lo stesso schema o la stessa velocità, ma che comunque i concetti più importanti rimangano saldi ai loro posti.
“Telefono” ha dei passi che sono strazianti, soprattutto quelli che descrivono la malattia della figlia, ma anche quando entra nel vivo la questione relativa a chi ha mandato ha mandato una richiesta d’aiuto attraverso un capo di abbigliamento usato. Zach Wells è spinto a salvare le persone perché, paradossalmente, non può salvare l’unica persona che ama con tutto il cuore.
Prova a salvare una collega dal buco nero nel quale si trova. Sta per per perdere il lavoro perché non ha presentato abbastanza articoli. Ha dei dati che considera grezzi su una ricerca che considera campata in aria, ma Zach, dopo averli letti, capisce che la ricerca è buona e si interroga sul motivo per cui la collega non è andata fino in fondo. La risposta arriva inaspettata e mette tutto sotto una luce nuova e terribile.
Prova a salvare la persona (o le persone) che hanno mandato nel vuoto un messaggio di aiuto, senza poter sapere a chi sarebbe arrivato quel messaggio e se sarebbe stato accolto.
Prova a salvare se stesso.
Il punto è che parlare di “Telefono” senza fare spoiler e rovinare il piacere della lettura è quasi impossibile. Per cui, mettendo da parte le trame, mi limiterò a parlare del lavoro fatto da Percival Everett in questo libro.
Questo romanzo di Percival Everett è, come sempre, ottimo. Solitamente c’è molta differenza tra i suoi lavori, ma questa volta ho colto degli echi di “Quanto blu”, il romanzo precedente sempre edito da La Nave di Teseo. Ci sono dei punti di contattato. Anche “Quanto blu” è un libro che gira attorno al tema della salvezza e anche in quel romanzo il protagonista principale sembra aver sviluppato una certa apatia e la necessità di trovare pace in un rifugio. In “Quanto blu” si trattava dello studio del pittore, qui della grotta in cui Wells passa gran parte del suo tempo lavorativo (quando non è all’università ad insegnare controvoglia”.
“Telefono” è anche un libro che parla dei gesti quotidiani che compiamo e che consideriamo irrilevanti e che pure possono arrivare a influenzare gli altri senza che ce ne rendiamo conto. Quei gesti che possono diventare fonte di salvezza pur non essendo eroici, ma banali; ma è anche un libro che sembra voler lasciare molto spazio al lettore e alle sue interpretazioni. È un libro che procede per stratificazioni.
In un certo senso, l’idea di pubblicare uno stesso libro in tre versioni differenti, mi è sembrata, all’inizio bizzarra. Una bizzarria che vedevo bene associata a Percival Everett, uno scrittore che è tutto fuorché scontato. Con il passare del tempo però ho iniziato a pensare che l’idea principale alla base di questa operazione inusuale sia quella di lasciare al lettore la possibilità di comprendere che alcuni piccoli eventi della vita quotidiana possono produrre cambiamenti impercettibili che a volte portano a grandi risultati. Il fatto che comprando il libro un lettore non possa sapere quale dei tre gli è capitato in sorte dà ancora più forza al concetto di casualità. Sembra quasi che Everett dica: la vita è fatta di piccole scelte, alcune delle quali sono casuali e inconsapevoli.
Al di là di tutto, al di là di come si voglia interpretare questo tre in uno letterario io consiglio sempre la lettura di qualsiasi cosa sia stata scritta da Percival Everett.
Traduzione di Andrea Silvestri.
Percival Everett (1956), autore e professore presso la University of Southern California, ha scritto numerosi libri, tra i quali: Cancellazione (2001), Deserto americano (2004), Ferito (2005), La cura dell’acqua (2007), Non sono Sidney Poitier (2009), Percival Everett di Virgil Russel (2013). Ha ricevuto lo Hurston/Wright Legacy Award e il PEN Center USA Award for Fiction. Vive a Los Angeles.