Diventa sempre più piacevole leggere le opere di Èric Chevillard e diventa sempre più difficile parlane qui su queste pagine. Ha volte ho l’impressione che da quando ho iniziato a leggerlo qualche anno fa le parole che ho messo in fila per raccontare cosa provoca in me la sua scrittura siano diventate parte di un’unica e lunghissima recensione che abbraccia anche l’autore. È molto banale dirlo, ma dopo tutti questi anni ti viene da sperare che lo scrittore abbia la stessa stralunata genuinità delle opere che scrive.
“Rovorosa” è l’ultimo romanzo di Èric Chevillard pubblicato da Prehistorica Editore che, come ormai ben saprete, ha dedicato una vera e propria collana a questo autore. L’editore, nonché traduttore delle opere di Chevillar, che risponde al nome di Gianmaria Finardi sembra avere quasi un rapporto simbiotico con l’autore francese.
Di che parla dunque “Rovorosa“? Cosa racconta?
Come spesso accade nelle opere di Chevillard, il filo da seguire è spesso ingarbugliato e di mille colori. Di primo acchito ti sembra di avere davanti un mondo confuso, ma in realtà basta solo trovare il bandolo della matasse che, in Chevillar, non è mai troppo nascosto. L’autore non ci tiene a fare giochetti da quattro soldi, trucchi da prestigiatore della domenica, al solo scopo di confondere il lettore. Chevillar ha la ferma volontà di tenderti una mano e portarti nel suo mondo, o nel mondo di Rosa o Rovo o Rovorosa.
La protagonista ha un’età indefinita e una fantasia tipicamente fanciullesca, vive assieme a un uomo che lei chiama Mangiaferro e, nel luogo in cui vive, bazzicano anche altri personaggi dai nomi fantasiosi e dai comportamenti coloriti. A volte capita che Rovorosa debba starsene da sola per qualche giorno perché Mangiaferro e i suoi scagnozzi hanno dei lavoretti da fare e ben presto ci accorgiamo che il racconto in prima persona non è altro che un filtro messo davanti alla fotocamera, per alterare la realtà e renderla diversa, forse migliore o forse sopportabile.
Capiamo subito che Mangiaferro non ha il più onesto dei lavori e che Rovorosa non è una bambina come le altre, anzi, di bambina non ha nulla.
Quando è costretta a uscire di casa, sola, senza nessuno che sappia capire il mondo in cui lei è costretta a vivere, la sua immaginazione, il suo modo di riconfigurare la realtà la porta a vedere tutto ciò che la circonda come se ci fosse una fitta rete di intrecci che mette in relazione ogni cosa. È a questo punto, quando le cose iniziano a non avere più senso e la narrazione lineare sfocia in un delirio sempre più psichedelico che viene da pensare al fatto che forse, in tutta onestà, sia proprio Rovorosa a capire davvero come funziona la realtà che ci circonda.
Le opere di Chevillar hanno tutte questa stupenda esplosioni di colori e vivacità, sono tutte marchiate da uno stile personale, talvolta assurdo e delirante che però è capace di trasmettere uno spettro di emozioni che vanno dal riso alla malinconia. Come nel caso di “Rovorosa” e del suo finale che, per quel che mi riguarda, dopo un arcobaleno di colori, vira al grigio e all’attesa senza speranza.
Éric Chevillard è nato nel 1964 a La Roche-sur-Yon e, come recita non senza ironia il suo sito, “ieri il suo biografo è morto di noia”. Si tratta indubbiamente di uno dei massimi scrittori francesi contemporanei, che ha saputo suscitare il vivo interesse di critica e pubblico, anche all’estero. Ideatore del fortunatissimo blog letterario, L’Autofictif, ha nel corso degli anni ottenuto diversi e prestigiosi premi, come il PRIX FÉNÉON, Il PRIX WEPLER, il PRIX ROGER-CAILLOIS, il PRIX VIRILO e il PRIX VIALATTE per l’insieme della sua opera. Molti dei suoi capolavori sono tradotti, in inglese, spagnolo, tedesco, russo, croato, romeno, svedese e cinese. Nel 2013, la traduzione di un suo romanzo, Préhistoire(1994; Prehistoric Times), si è aggiudicata il Best Translated Book Award – premio statunitense assegnato dalla rivista “Open Letters” e dall’università di Rochester. Ha scritto oltre venti opere – volendo menzionare solo i romanzi – pubblicate dalla leggendaria casa editrice francese Les Éditions de Minuit, diventata grande con Samuel Beckett e il Nouveau Roman. Sul riccio è il primo testo in assoluto pubblicato da Prehistorica Editore, ed è a oggi il terzo romanzo dell’autore edito in Italia: tutti sono stati tradotti da Gianmaria Finardi.