Orazio Labbate- Lo scuru

by Gianluigi Bodi

Quando ho la febbre faccio sogni/incubi come “Lo scuru” di Orazio Labbate. Quei sogni in cui le immagini e le parole si rincorrono, in cui i flussi temporali si spezzano e sei grande sapendo di essere bambino e sei bambino sapendo di essere grande.
Orazio Labbate è uno scrittore esordiente che ha dato alle stampe, per i tipi di Tunué, “Lo Scuru”. Un libro che sta avendo un certo successo e che ha già avuto un numero notevole di recensioni (se non ci credete fate un salto sulla pagina che il sito Tunué gli ha dedicato). E allora perché parlarne ancora? Perché pensi si poter dire qualcosa che gli altri non hanno detto? Perché pensi che la tua opinione valga più delle altre? No. Ne scrivo perché posso farlo. Tutto lì.

Ecco, io Labbate non lo conosco di persona, ho visto qualche foto, mi è sembrato a tratti spaesato, felice per il percorso de “Lo scuru”, ma con nello sguardo sempre un po’ di smarrimento. A me piace pensare che quello smarrimento che magari avrò notato solo io perché magari me lo sono semplicemente immaginato sia dovuta al fatto che a Labbate siano piovute addosso un numero così elevato di recensioni positive e di elogi da far fatica a portarli sulle spalle. Labbate si attribuisce alcuni maestri, Faulkner e MacCarthy tra gli altri, e altri maestri gli sono stati gentilmente donati da alcuni dei suoi recensori. Io a Labbate maestri non ne voglio dare, penso che lui abbia chiara in mente la genesi de “Lo scuro” e la sfilza di padri putativi e di libri guida che l’hanno condotto fino a qui.
Quel che mi sento di dire a Labbate, se le mie parole gli interessassero è: ragazzo mio, fatti due spalle forti forti, perché ad un certo punto, ti auguro che non succeda, potrebbe capitare che tutto il successo che stai avento produca l’effetto di stare sul cazzo ai critici. Perché in Italia, quando uno è bravo o anche quando viene detto che è bravo, sta cosa fa storcere il naso, perché il merito si compra, non lo si deve possedere di natura.

Ma basta paternali:
“Lo scuru” è la storia di Razziddu Buscemi, siciliano emigrato in America. La moglie è morta da poco, lui si siede sulla veranda di casa, con l’orizzonte a fargli compagnia e, tra suggestioni oniriche e colate metafisiche si perde nella riesumazione dell’infanzia siciliana. Il suo è uno sprofondare nei ricordi, nella genesi di ciò che è diventato con l’età. Le mille strade che si percorrono nella vita hanno un punto d’inizio comune. Il paese dove abbiamo costruito l’immagine di noi stessi.
Fin qui la trama. Quello che però ha più importanza, secondo me, nel libro di Orazio Labbate è la costruzione linguistica operata dal giovane scrittore. Un impasto di italiano, siciliano crudo e verace, un a lingua che densa come un fico spaccato in due e lasciato a seccarsi al sole del mezzogiorno.
Finisci di leggere “Lo scuru” e ti trovi a parlare come se fossi dentro nel libro, certo, magari al siciliano sostituisci il veneto, il bergamasco, il lunfardo.
Sia chiaro, il libro di Orazio Labbate non è una passeggiata di salute. Non me lo porterei in spiaggia il weekend e non lo consiglierei nemmeno a chi in autobus viaggia in piedi. “Lo scuru” ha bisogno di molta attenzione e molta cura. Si entra e ci si trova davanti ad un muro denso, ma pagina dopo pagina, entrando nelle spirali stilistiche di Labbate, ci si accorge che il muro è valicabile e alle sue spalle c’è un bel panorama.
Un libro del genere credo spacchi in due il pubblico. Da un lato quelli che lo difenderanno a spada tratta davanti ai detrattori e dall’altro quelli che non riusciranno ad entrarvi in sintonia. E’ una cosa che posso capire. E’ un libro molto particolare, con periodi costruiti in bilico tra l’italiano e il siciliano (senza necessariamente utilizzare lessico dialettale, a volte è la struttura stessa della frase a ricordare il siciliano di Butera).

Ora, io sono una persona curiosa. La mia più grande curiosità adesso e vedere cosa tirera fuori dalla sua testa Labbate per il suo prossimo libro.

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Tunué, dopo anni di frequentazioni fumettistiche ha messo nelle mani di Vanni Santoni una collana di narrativa. Delle prime quattro o cinque uscite una ha sfiorato la dozzina del premio Strega e un’altro, questo, che potrebbe rappresentare la casa editrice al Campiello qualora la candidatura venisse accolta. Tunué sta creando qualcosa.

Orazio Labbate è nato a Mazzarino nel 1985 ma ha vissuto sin dall’infanzia a Butera; si è poi laureato in giurisprudenza all’università Bocconi. Collabora con le riviste on line Il primo amore e Repubblica nomade. Dirige la rubrica «Mostri notturni» sulla rivista Fuori Asse. Il suo blog è Sicilia texana.

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