Home Inchiostro - Recensioni di libri indipendenti e non. Montagne russe di Raimondo Pinna (Transeuropa 2017)

Montagne russe di Raimondo Pinna (Transeuropa 2017)

by Gianluigi Bodi
Montagne russe, Transeuropa, Raimondo Pinna,

Recensione Montagne russe di Raimondo Pinna (Transeuropa 2017)

di David Valentini

 

Io voglio vedere una cava di marmo dismessa e un paese della zona, non cadere in un burrone; voglio tornare a Forte dei Marmi prima del tramonto, non a notte fonda perché tu hai sbagliato strada. Tu puoi portarmi? Sei credibile? Hai una reputazione? Devi pensare sempre che hai una sola possibilità. È una grande cazzata di voi occidentali, di voi italiani in particolare, credere di avere più di una possibilità.

 

L’antagonista di una storia è quasi sempre motore vero e proprio dell’azione. Nei manuali di scrittura creativa si legge come “the opponent should want the same thing as the hero”, e che “in working out the struggle between the two characters, the larger issues and themes of the story unfold” (John Truby, The Anatomy of Story).

Un antagonista ben costruito – ossia non una semplice macchietta con ambizioni di distruzione totale (penso ai villain di certi film superomistici: tutti uguali, tutti con gli stessi obiettivi, tutti destinati a morte certa) – è la vera chiave di volta di una storia, in quanto riesce: 1) a esplicitare difetti e limiti dell’eroe, portandolo a combattere con il proprio fatal flaw e a superarlo, divenendo così una persona migliore a fine viaggio; 2) a coinvolgere il lettore attraverso dilemmi morali articolati.

C’è di più. Un antagonista ben costruito è memorabile, e può essere “a nicer person than the hero, more moral, or even the hero’s lover or friend”: pensiamo al carismatico Apollo Creed di Rocky, destinato a diventare amico del protagonista (e al meno carismatico ma altrettanto memorabile Ivan Drago, al momento della sua “liberazione”: DLYA SEBYA!, urla, Lo faccio per me!); pensiamo anche al magnifico personaggio di Ozymandias in Watchmen, che per raggiungere la pace mondiale (obiettivo perseguito da tutti i supereroi della graphic novel di Alan Moore e Dave Gibbons) è disposto a sacrificare milioni di vite umane.

Fatta questa lunga premessa, è ora possibile dire che se Montagne russe di Raimondo Pinna è un esordio col botto, lo è grazie non al protagonista (un Raimondo Pinna architetto cagliaritano come l’autore) bensì all’antagonista: Aleksey Ivanovic Kanev, mafioso russo arricchito, personaggio credibilissimo. Caratterizzato da mille sfaccettature, sa essere elegante nei ristoranti lussuosi di Forte dei Marmi, autoritario con i propri scagnozzi, terrificante quando Raimondo si impunta sulle scelte sbagliate, dolce e comprensivo con Ludmilla Petrovna Gromova, sua compagna di vita con velleità artistiche destinate a rimanere tali a causa del colpo gobbo dell’architetto.

Proprio intorno all’affascinante Ludmilla (altro personaggio forte, ma soltanto quando non costretto all’ombra dall’imponente figura di Aleksey) e all’opera teatrale gravitano gli sforzi dell’italiano e del russo, che di fatto “want the same thing”: affermarsi l’uno sull’altro, mostrare di essere i maschi alfa, i capobranco in un mondo sociale in cui domina il più forte.

Che Raimondo mascheri la propria volontà di dominio e affermazione col bisogno di far comparire il proprio nome sull’opera teatrale da lui stesso scritta è ovvio espediente: percorso dell’eroe a parte, è lui ad accettare i soldi in cambio della cessione della paternità del Sogno di un’anima morta; è vero, è sempre lui a decidere di punto in bianco, che no, la perdita di quel figlio letterario non s’ha da fare, però è altrettanto vero che non emergono motivazioni forti al riguardo se non quella di riscattarsi dalle umiliazioni subite. Raimondo è e resta un protagonista piccolo, debole, incapace di vedere al di là del proprio naso: sigla un contratto con dei mafiosi, diventa persino complice di un omicidio politico e poi pensa di farla franca quando il suo scherzetto ai danni di Ludmilla viene smascherato; tenta di imbrogliare Aleksey e il suo tirapiedi Kyril giocando sul loro stesso campo, improvvisandosi delinquente della domenica; cerca di ammaliare la russa comportandosi a metà fra il don Giovanni e il Jake LaMotta aggressivo interpretato da Robert De Niro in Toro scatenato (ovviamente fallendo).

In questo Aleksey è più diretto, e dunque più apprezzabile. Egli non nasconde la sua natura criminale, e però al contempo cerca di elevarsi: addirittura finché può tenta di dare una mano all’architetto italiano, come quando, parlandogli di reputazione e obiettivi, gli dice “devi pensare sempre che hai una sola possibilità”. Sopporta fin troppo le insubordinazioni di quello che ai suoi occhi è un insetto facilmente eliminabile, finché non si vede costretto a passare ai fatti. La sua appare una missione che va al di là del mero obiettivo iniziale di far felice la propria donna: sembra quasi che voglia insegnare qualcosa al protagonista, ossia come si vive in questa società, come si esce dal guscio e ci si impone sul palco del mondo. Mentre Raimondo è infatti solo, insoddisfatto, convinto di essere capace nonostante tutto gli provi il contrario, Aleksey è circondato da conoscenze (sebbene molte siano superficiali), uomo di successo, autoritario ma anche autorevole. Un tentativo di coaching destinato a fallire per la boria dell’architetto, che nella sua sconfitta si porta appresso anche la credibilità di Ludmilla come autrice e attrice teatrale.

Toccante è, a questo riguardo, l’ultima scena di sesso fra i due russi, l’unica fra quelle che rinveniamo nel testo che veramente ha il sapore dell’amore. Soli nel camerino del teatro U Mosta di Perm dove si è svolta la prima, troviamo Aleksey e Ludmilla debolissimi, nudi e umani come due amanti di lunga data:

 

Una donna e un uomo sono accoccolati a terra. Non sono più giovani, lei ha la testa sul grembo di lui, le sue braccia avvinghiano qualche parte del corpo, forse le anche. Lui ha le labbra sui suoi capelli e le mani accarezzano la schiena. Deve essere la stessa posizione che, il dodici luglio di più di trent’anni prima, due adolescenti hanno assunto dopo aver fatto l’amore, nascondendosi dal fragore della festa di Ust-Tsil’ma Gorka, giurandosi di non abbandonarsi mai più, qualsiasi cosa sarebbe successa.

 

Quello che vuole profilarsi come uno scontro di civiltà (uso non a caso parte del titolo del bellissimo libro di Amara Lakhous Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, visto che anche in Montagne russe si parla di immigrazione e melting pot più o meno mancati) fra russi e italiani è in realtà uno sconto ben più ampio fra due visioni del mondo antitetiche e che non dovrebbero mai incontrarsi ma che, purtroppo, lo fanno. In questo scontro di persone a perdere sono tutti, è vero, ma l’architetto subisce la sorte peggiore perché rimane un personaggio non-memorabile; e non c’è destino più miserabile, per qualcuno con aspirazioni elevate, dell’essere dimenticato, dello scomparire fra le pieghe del tempo.

In conclusione, Montagne russe è un esordio ben costruito, un noir italiano con tutte (o quasi) le carte in regola. Pinna mostra sin da subito di saper scrivere: sa incatenare il lettore al testo fino all’ultima pagina (nonostante la scelta non felicissima, a mio avviso, di piazzare l’epilogo all’inizio per poi riprenderlo nella “Traccia fantasma” alla fine del libro) e prendere a schiaffi le sue emozioni con personaggi e conflitti ben sviluppati. Unico neo – ma questo elemento, se portato avanti con altri crismi, può diventare invece parte integrante della voce dell’autore – sono le continue digressioni artistiche e politiche: interessanti tutte (e qui va un ulteriore plauso a Pinna) ma decisamente troppo invadenti.

Commenti a questo post

Articoli simili

Leave a Comment