Mary Miller – Happy Hour

by Gianluigi Bodi
Mary Miller

In questo momento non so pensare a niente di più rinfrescante per l’anima e la gola di un bel Happy Hour. Con gli amici, magari. Sulla spiaggia, se possibile. Con una leggera brezza da una parte e un mojito dall’altra.
Leggere “Happy Hour” di Mary Miller ha avuto effetti simili. Questa raccolta di racconti ha davvero lasciato il segno e se prima conoscevo la Miller solo come romanziera (il suo “Last days of California” mi era piaciuto fino all’ultima goccia) ecco che vengo a scoprire che Mary Miller scrive racconti e li scrive dannatamente bene. Immagino che una parte del merito vada data a Sara Reggiani per la traduzione, ma quando ho finito questo libro ho pensato che avevo proprio bisogno di leggere racconti così.
“Così come?” direte voi.

Nei racconti contenuti in “Happy Hour” c’è uno strisciante senso di incompletezza. Le protagoniste di questi racconti cercano di rimettere in sesto la propria vita, cercano di vivere il presente sapendo che la felicità non può durare, cercano qualcosa che non hanno o che hanno perduto. Sono incomplete e sempre lo saranno e per questo motivo posso dire senza timore di sbagliarmi che sono personaggi veri.
Mary Miller racconta delle vite comuni con un linguaggio preciso e misurato. Bando ai manierismi e alle acrobazie sintattiche. Lei va dritta al punto, portando a galla sensazioni e sentimenti. Per quel che mi riguarda ho assaporato una certa dose di malinconia, qualcosa che nasce dal rimpianto per ciò che non è stato o forse dal rimpianto di ciò che ciò ora sappiamo che mai sarà.

Ho dovuto tenere a freno gli occhi per non saltare compulsivamente da un racconto all’altro perché di solito, per godermi meglio il libro, doso la lettura in un periodo abbastanza lungo. Un racconto oggi, un paio di racconti domani e sempre se ho la certezza di poterli leggere tutti in una sessione di lettura. Mary Miller ha parlato ad una parte di me alla quale piace ascoltare. Nonostante i personaggi principali siano quasi esclusivamente femminili il messaggio che è arrivato era universale.

Come lettore di racconti a volte mi capita di chiedermi cosa succederà in futuro ai personaggi di un racconto che mi è particolarmente piaciuto. Pare che anche gli scrittori a volte abbiano le stesse mie domande che girano per la testa. Mi era capitato con Poissant e anche con Baxter e adesso anche Mary Miller mi ha voluto dare una risposta. Anche in “Happy Hour” alcuni personaggi ritornano e per quanto vogliano regalarci uno sviluppo ulteriore alla storia la sensazione che nulla sia davvero concluso c’è sempre.
Mi sembra che questo andare a ripescare personaggi già usati sia di per se stessa un’ammissione. La scrittrice da un lato ammette di non aver ancora finito con quel materiale narrativo, dall’altro ammette l’incapacità di abbandonare le sue creature e le segue ancora nella speranza che le nubi che ha visto di diradino.

Odio fare classifiche perché non hanno quasi mai senso, ma “Happy Hour” è sicuramente uno dei migliori cinque libri di racconti che ho letto nell’ultimo anno. E ne ho letti parecchi.

E’ una cosa che non faccio mai, vi metto il link dell’estratto dal sito dell’editore (quella bella gente di Black Coffee edizioni) così non avete scuse. Eccolo, così almeno vi fate un’idea del motivo per cui ci terrei davvero che leggeste questa raccolta.

Mary Miller è nata e cresciuta a Jackson, Mississippi. È autrice di due raccolte di racconti, Big World e Always Happy Hour, e un romanzo, Last Days of California, uscito nel 2015 come primo titolo della collana Black Coffee. I suoi racconti sono apparsi su riviste quali Oxford American, McSweeney’s Quarterly, American Short Fiction e Mississippi Review. Insegna alla Mississippi University for Women di Columbus, Mississippi.

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