Un governo che decide per legge quanti giorni di vita spettino al mese ad ogni persona in base alla loro utilità (agli scrittori, un paio di settimane).
Un romanziere che non riesce a non far morire tutti i suoi personaggi e che viene visitato da alcuni di loro con il tentativo di fargli cambiare trama.
Il miglior cristiano di tutta Montmartre che nel tentatio di far sparire l’aureola che gli è comparsa sul capo diventa il miglior peccatore di tutta Montmartre.
Un assassino che si separa dalla propria anima.
Una legge che impone di far divetare l’anno di ventiquattro mesi e di conseguenza fa ringiovanire tutti i cittadini francesi.
Una donna che possiede il dono dell’ubiquità e arrivera ad avere fino a più di sessantamila doppi (con rispettivi amanti).
Ecco come Marcel Aymé piega la realtà a proprio piacimento. Come se ognuno dei fatti innaturali che danno corpo ai racconti della raccolta “Martin il romanziere” fossero perfettamente plausibili. Normali. Potremmo discutere un paio di secoli sul concetto di normalità, ma immagino sia universalmente condiviso che è impossibile coricarsi diciottenne e svegliarsi bambino. Oppure vivere sei giorni al mese in quanto disoccupato per poi sprofondare in un sonno senza luogo.
I racconti di Aymé sono una meraviglia d’inventiva, un’esplosione di ironia e sono profondamente carichi di critica sociale. Pensate a quel governo che non si chiede che ne sarà dei propri figli quando questi si ritroveranno a dover percorrere nuovamente la strada dell’infanzia. Oppure pensate a tutte le disquisizioni religione che possono nascere dal fatto che anche provando tutti e sette i peccati capitali una persona non può sbarazzarsi dell’aureola. O, sempre in tema di anime, a chi appartiene l’anima di una donna che può replicarsi all’infinito?
I racconti sono uno migliore dell’altro, sia quando sono più brevi e ficcanti, sia quando si addentrano nelle questioni irrisolte per pagine e pagine. Seguire la storia di Sabine e di come ha deciso di sfruttare il dono dell’ubiquità oppure farci raccontare da Martin il romanziere come sia possibile piegare il tempo aggiungendo ad ogni mese quanti più giorni vogliamo, ha lo stesso potere di trascinarci in un mondo così simile eppure così diverso dal nostro.
Per gli amanti dal racconto questo libro è imperdibile. E’ una fonte inesauribile di critiche ed elucubrazioni, di ghigni carichi di ironia e agrottamenti di fronte. Perché in fondo la questione sta tutta qui, una volta che ci si rende conto che pur utilizzando lo strumento del fantastico Marcel Aymé racconta del suo tempo (che poi è anche un po’ il nostro considerando che certe dinamiche di potere caduto dall’alto non sono affatto cambiate) queste storie fanno breccia dentro di noi e gettano una nuova luce sul reale.
Marcel Aymé (1902-1967) è considerato uno dei massimi scrittori fantastici europei e tra le personalità più originali prodotte dalla cultura francese del Novecento. Nato in un ambiente contadino, le fitte letture e i casi della vita lo portano a Parigi, dove nel 1926 pubblica il suo primo libro. Autore prolifico e controverso, sornionamente inclassificabile, ha scritto romanzi, opere teatrali, sceneggiature e saggi, ma sono stati i suoi racconti, dalla spiccata vena umoristica, a renderlo amatissimo in tutto il mondo e a farne un maestro – anche suo malgrado (rifiutò la Legion d’onore e la candidatura a entrare nell’Académie française) – per generazioni di scrittori.