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Lo shtetl perduto – Max Gross – Traduzione di Silvia Montis

by Gianluigi Bodi
Max Gross

Quando ho terminato la lettura de “Lo shtetl perduto” di Max Gross mi sono fermato a riflettere su quanto avevo appena letto, ma ho anche fatto una riflessione più ampia. Mi sono chiesto in quali altri casi, una lettura “divertente” mi abbia anche portato a fare dei ragionamenti seri e se vogliamo, di natura esistenziale. I casi si contano, probabilmente, sulle dita di una mano, un po’ perché a me hanno insegnato che la letteratura buona è quella che porta allo sofferenza (poi ho imparato da solo che erano solo baggianate), un po’ perché è davvero difficile trovare un testo che ti faccia ragionare profondamente pur dipingendoti un sorriso ebete in faccia.

Ecco, di questi tempi si parla tanto di libri potenti, di narrazione potente, di storia potente etc etc. Pur non volendo entrare in quel tipo di recensione, devo ammettere che la potenza de “Lo shtetl perduto” di Max Gross sta esattamente nel modo in cui lo scrittore riesce a raccontare una storia con leggerezza impeccabile e, allo stesso tempo, ci lascia con domande “pesanti”.

C’è un villaggio, in una foresta in Polonia, che risponde al nome di Kreskol. Questo villaggio è talmente tanto isolato e talmente autonomo che è riuscito a sfuggire anche alla tragedia delle Seconda Guerra Mondiale e alle devastazioni atroci perpetrate dai nazisti. Semplicemente, Kreskol, nascosto al mondo in maniera quasi divina, ha perso ogni contatto con la realtà che lo circonda. Ciò però non significa solo riparo dal male, ma anche completo distacco dallo sviluppo tecnologico, sociale, politico, economico, in pratica: Kreskol non si è evoluta, è il passato della Polonia. È come guardare una foto in bianco e nero.

E questa foto, Max Gross, ce la descrive molto bene partendo dalle tradizioni arcaiche in vigore nel paese, come, ad esempio, la gestione dei matrimoni. I matrimoni sono combinati ed è proprio da uno di questi matrimoni combinati, ma male assortiti, che parte la storia de “Lo Shtetl Perduto”.
A Pesha Lindauer hanno trovato un marito che proprio non le va a genio. Lei prova in tutti i modi a rompere quel legame, ma le tradizioni sono troppo forti e quindi, un giorno, Pesha sparisce. Non si sa più che fine ha fatto e le ipotesi sembrano essere molte. Qualcuno pensa che in qualche modo nella sparizione di Pesha possa essere coinvolgo il marito Ishmael. A quel punto sparisce anche lui e i sospetti nei suoi confronti si rafforzano. Che possono fare i rabbini? La decisione è quella di mandare un giovane al di là della foresta per chiedere aiuto alla gente di città che di sparizioni e, chissà, omicidi, ne capisce di più. Il prescelto è Yankel. Viene consegnato a una carovana di zingari con i quali, saltuariamente, la gente di Kreskol fa affari e qui inizia una nuova avventura.

Nel momento in cui Yankel arriva in città il libro esplode. La narrazione si fa ancora più avvincente e se possibile il sorriso diventa ancora più ampio. Quello tra Yankel e la città è uno scontro durissimo. Il progresso ha fatto passi da gigante, non esiste un Ghetto ebraico perché a parte Kreskol, nessuno è stato risparmiato dalla furia nazista e, soprattutto, nessuno crede a Yankel. Nessuno crede che lui possa aver vissuto tutta una vita in un paese dimenticato da tutti. Persino bere una Coca Cola è un’esperienza traumatica.

Come dicevo, da qui in poi la narrazione decolla e ci troviamo di fronte continui scambi assurdi in cui Yankel prova a dire la verità ma non viene creduto al punto da essere considerato un malato di mente e, in quanto tale, ricoverato.

Max Gross ha scritto davvero un ottimo libro. Io mi rendo conto che edizioni E/O viene spesso ricordato per i successi di vendita di Ferrante, Perrin, Barbery e altri grandi nomi, ma io vi dico che se fate attenzione, nel loro catalogo, ci sono anche libri che magari hanno colpito meno l’occhio del grande pubblico, ma che meritano davvero tantissimo.

In particolare, il libro di Max Gross, è una profonda riflessione sull’incapacità di comunicare, sulla diffidenza nei confronti del diverso e su quanto sia difficile trovare un compromesso tra l’essere se stessi e integrarsi. Mentre Yankel ancora stralunato dopo il suo arrivo in città prova a tutti i costi a farsi comprendere dalle forze dell’ordine, noi vediamo anche la nostra difficoltà nel portare noi stessi agli altri senza fraintendimenti. Ridiamo di Yankel e dei suoi tentativi ma siamo molto più simili a lui di quanto possiamo pensare.

Max Gross, nato a New York nel 1978, è scrittore e giornalista. Laureato a Dartmouth, ha lavorato per Forward ed è stato corrispondente di viaggio per il New York Post. Attualmente è caporedattore del Commercial Observer. Vive a New York con la moglie e il figlio. Lo shtetl perduto, il suo primo romanzo, ha vinto il National Jewish Book Award nel 2020.

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