La cicatrice non fa più male

by senzaudio

La mia carriera da portiere, seppur promettente a detta di alcuni osservatori, finì abbastanza presto. Dopo un anno di Juniores alla Loanesi, con mezza stagione da secondo portiere in Eccellenza senza maturare presenze, cambiarono infatti gli allenatori sia della squadra giovanile (per la quale sarei stato un fuoriquota) che quello della prima squadra ed entrambi si portarono dietro le coppie dei portieri di fiducia. Non “riuscendo” la mia società a trovare in tempo accordi con altre squadre che mi richiedevano, complice soprattutto l’università appena iniziata che mi costringeva a viaggiare, decisi di smettere. Mi ritagliai ancora un anno per rimanere in forma: giocai il campionato UISP con il Dopolavoro Ferroviario (i miei erano entrambi ferrovieri) e mi tolsi la soddisfazione di far vincere loro un torneo regionale parando due rigori nella finale giocata allo Stadio Bacigalupo di Savona. Le parate in quella partita mi valsero anche il premio di Miglior Portiere del torneo, piccole grandi soddisfazioni. Anche se non sei arrivato in Serie A, dire la tua e aiutare così la tua squadra a vincere un torneo per di più in uno stadio storico (negli anni ’60 ci giocò il Savona in B e ora ci gioca in Lega Pro) ti riesce comunque ad emozionare.

Durò solo un anno però: le lezioni e gli esami di Ingegneria all’Università occupavano ormai molto tempo e mi era impossibile continuare a giocare. Fu così che “appesi” i guanti al chiodo a soli 21 anni.
Non smisi solo di giocare a calcio con gli amici ma, come spesso accade a chi ha fatto il portiere per tanto tempo, preferivo giocare fuori porta e cercare di fare gol piuttosto che evitarli. Chi ha passato anni a guardare tutti da dietro ha spesso voglia di giocare con i piedi e di segnare, anche se inevitabilmente ti arrabbi (in modo silenzioso) quando il portiere di turno, anche se sarebbe meglio dire a turno, prende gol girandosi per paura sul tiro dell’avversario. E’ più forte di te: vorresti metterti lì come un preparatore dei portieri per spiegargli l’errore, quando subito ti ricordi che sei lì per divertirti e non è decisamente il caso. Ci fu qualche rara eccezione in cui ritornai a giocare partite intere fra i pali: accade che al primo tuffo ti ricordi quanto in fondo sia bello il tuo ruolo, ma lo fai con moderazione, quasi per paura che ti manchi troppo quel campo, fatto di allenamenti e campionati, che ti hanno portato e un po’ hai anche voluto lasciare. Una ferita che sembra inconsciamente farti male, che ricorda un po’ la cicatrice a forma di saetta sulla testa di Harry Potter. Il ruolo del portiere, come Voldemort per il maghetto, è parte di te e qualche cicatrice in fondo te l’ha lasciata.

Passano così gli anni e si arriva all’estate del 2006. Non fu un’estate semplice sotto molti punti di vista, uno in particolare: in quei giorni mi venne diagnosticato un Linfoma Non Hodgkin, un tumore del sangue, anche se detta così fa più paura. In quei giorni difficili credo che la mia esperienza sportiva e il mio vecchio ruolo mi abbiano aiutato: cercavo di studiare il mio avversario, per poter parare ogni sua conclusione o comunque non permettergli di farmi gol, ma soprattutto cercavo di trovare quella forza mentale e fisica che devi trovare quando devi affrontare un avversario difficile, che speri non sia imbattibile. Da portiere quello che devi cercare di fare è evitare di prendere gol, a farli, per vincere, ci devono pensare altri: nel mio caso ci dovevano pensare i medici della Clinica Ematologica Universitaria dell’Università di Genova, la mia grande squadra di quell’estate. L’esperienza calcistica mi ha aiutato anche da un altro lato: quando sei portiere sai che devi portarti anche il peso della squadra e dei tifosi, un tuo errore pesa di più e lo senti. Devi allora cercare di farti vedere sempre sorridente e sicuro, per tranquillizzare compagni e tifosi e, perchè no, intimorire l’avversario. E’ proprio così che ho affrontato la malattia: col sorriso e con la voglia di lottare, anche nei momenti più difficili, cercando di fare pesare meno il tutto a chi mi era vicino; sono sempre stato convinto che un atteggiamento positivo inneschi una spirale virtuosa, sorridere aiuta a far sorridere e a far sentire meglio chi già soffre per ciò che affronti e tutta la positività, inevitabilmente ti ritorna.

Il 27 luglio del 2006 ho affrontato così la prima chemioterapia, ne seguirono altre cinque, l’ultima il 15 novembre 2006. Due date che rimarranno sempre scolpite per me nella memoria, due date che ora considero le altre due mie date di nascita.

Tutto per fortuna è andato bene, dopo 7 anni si può dire che la malattia è andata in remissione, tanto da permettermi di ritornare in campo.

Sì, perché dal 2011 sono tornato a giocare in un campionato amatoriale a 7, sono tornato a 35 anni a rivivere emozioni che sembravano sopite. A rivivere l’ansia del prepartita (ora dopo una giornata di lavoro e non di scuola), la voglia di volare fra quei pali, la gioia di una vittoria e la voglia di ripartire dopo una sconfitta.

Sono tornato a difendere la porta di una squadra nel campionato zonale AICS, affiliata la coni, che da anni dedica il campionato, sostiene e raccoglie i fondi per l’AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie, linfomi e mielomi). Sorprese del destino.

Da tre anni sono tornato, prima con il Pantarei e poi il Rosario Lateral (squadra che mi vede fra i 7 soci fondatori). Giochiamo per divertirci, ma sempre con un occhio al risultato, perché vincere non è solo importante… Sono tornato a difendere la porta con la voglia di un tempo, forse con meno energia e sicuramente con qualche chilo in più, ma con tanta gioia nel cuore. Quella gioia che prova un marinaio che torna a navigare sulla sua nave dopo anni o quella della prima volta che i guanti ti scelsero da bambino. Quella gioia di vivere, di correre e di respirare che non pensavi quasi più di avere.

Non ho più però indossato il n°1, per scelta: ho vestito il 29 sentendomi uno Ju29ro e il 77 per sostegno e amicizia di un amico che stava subendo una squalifica ingiusta, Vincenzo Italiano.

La porta l’ho lasciata una volta sola, giocando 10 minuti all’attacco una partita: ho fatto gol, un gol ufficiale quasi 30 anni dopo l’ultimo. Il mio gol più bello però l’hanno forse segnato i medici che mi hanno curato in quel 2006, io ho solo evitato di subirne…

La cicatrice ce l’ho davvero, diversamente da Harry Potter che l’aveva sulla fronte, la mia è sul collo dove mi hanno tolto un linfonodo per la biopsia. Come al maghetto nato dalla penna di JK Rowling però, una volta battuto il nemico, ora quella cicatrice non fa più male. Grazie anche ai miei guanti da portiere…

Dedicato a tutti quelli che hanno lottato e che lottano ogni giorno, perché come dice Giacomo Jack Sintini, giocatore di serie A di pallavolo che dopo una lotta simile alla mia ha vinto il campionato di Serie A: ‘Voi che siete malati di cancro, fate come me: lottate. Io ce l’ho fatta. E non sono nessuno’.

Commenti a questo post

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3 comments

Eppe 9 Settembre 2013 - 15:44

Bravo Maurizio!

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Maurizio Romeo 11 Settembre 2013 - 9:43

Grazie. Di cuore!

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Maurizio Romeo 11 Settembre 2013 - 9:44

Ma il più grande Bravo va a chi mi ha salvato la vita e a chi lotta ogni giorno da una parte (paziente) e dall’altra (medici). Spero che questo mio pezzo possa dare a chi ora sta lottando un po’ di forza. A loro va il mio più grande abbraccio

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