Home Inchiostro - Recensioni di libri indipendenti e non. Intervista discronica ad Aristotele/1

Intervista discronica ad Aristotele/1

by senzaudio

Scorgo Aristotele dal lato opposto della piazza, mentre sta con lo sguardo a mezz’aria sotto i portici. Esattamente dove avremmo dovuto incontrarci. In realtà l’idea di intervistarlo mi lascia ancora attonito e sbigottito. Mi si perdonerà ma non sono uso ai viaggi temporali e, in tutta onestà, tendo ancora ad escludere categoricamente che si possa trascendere il tempo, muovendosi secondo volontà lungo il corso dei secoli. Nonostante le mie ritrosie lui è lì. In carne ed ossa. Più reale del reale. Addirittura in anticipo. La prima cosa che mi colpisce sono i suoi occhi. Sono autorevoli. Statuari. Come scolpiti nel marmo. Eppure sono anche guizzanti. Vividi. Veloci. Mi avvicino, tra la calca che sgomita tra i negozi in periodo di saldi. Lui si accorge di me e mi si fa incontro. Mi guarda ed io, da parte mia ricambio lo sguardo, tentando di non dare troppo a vedere l’imbarazzo che sta prendendo il sopravvento. “Buongiorno”. “Buongiorno” faccio eco stralunato. Mi indica un cafè nei pressi della piazza e ci infiliamo lì dentro e dopo aver preso posto iniziamo a parlare. O meglio lui inizia. “Comprendo perfettamente il suo essere stranito, d’altronde non è certamente usuale, tuttavia alle entità spirituali, che sono eterne e dunque atemporali, è consentito di viaggiare nel tempo, in quanto nella spiritualità non esiste nè un prima, nè un dopo. Dunque la mia presenza è molto più normale di quanto potrebbe sembrare. Peraltro si dice sempre che i grandi filosofi i loro pensieri sono normali, per cui..” E si lascia andare ad un generoso, ma decisamente compito sorriso. Io scopro i denti. Ma la riverenza mista a disagio mi sta pietrificando. L’intervista è già iniziata, senza che io me ne rendessi minimamente conto. Osando naturalezza dico ” Maestro, lei è stato di certo una delle figure centrali della storia della filosofia, si potrebbe definire come un padre della materia, ecco ritiene che il suo pensiero sia ancora attuale?”. “Domanda interessante. Acuta.” Mi guarda con un ghigno beffardo ” di certo la mia influenza sulla filosofia a me successiva, partendo da Plotino e San Tommaso, è evidente e ingente. Del resto anche Kant riprese, rimodernandola, a suo dire almeno, la mia teoria delle categorie. Ciò detto, ritengo che ancora oggi, per quanto possa sembrare obsoleto ai più, il mio pensiero sia ineludibile per chi si voglia cimentare nella ricerca filosofica”. “Non crede dunque che sia possibile fare filosofia prescindendo dalla summa delle sue opere?” Gli chiedo facendomi finalmente un po’ di coraggio. “Assolutamente no” dice mentre ferma il cameriere per ordinare. ” Due caffè”. “Veramente” ed esprimo con un cenno una pacata rimostranza ” il caffè qui è ottimo e poi l’ora si confà perfettamente con un caffè, vedrà”. “Va bene mi ha convinto” cedo, d’altronde che altro avrei potuto dire? “Lei ha polemizzato e rotto con gli accademici a causa della natura delle idee, che, per colpa della loro pluralità, non posso assolvere al ruolo di principio ultimo, che abbisogna, secondo lei, di una semplicità fondamentale. Potrebbe dunque spiegare la sua visione cosmologica? È come si differenzi da quella platonica?” ” Partiamo col dire che le idee non possono spiegare il mondo in quanto non lo riducono ad un principio, ma, al contrario, proliferano e sono tante, o quasi, quante sono gli enti. Per cui è stato per me necessario elaborare una nuova visione cosmologica e ontologica, la quale fosse in profonda distonia con il modello platonico. In questa direzione ho riportato l’ente reale e l’essere al centro della mia teoria. Infatti non è nelle categorie che si trova il massimo grado d’essere, ma proprio negli enti, di cui queste non sono che determinazioni. Capisce dunque il cambio radicale di piano. È il reale al centro della mia ontologia, non un fantomatico mondo delle idee, che non sono altro che predicati universali in cui si è ritenuto ,erroneamente, si potesse trovare il massimo grado di ousia, di sostanza. Da qui prende le mosse il discorso più prettamente cosmologico e metafisico. Gli enti sono soggetti al cambiamento, che è il passaggio da potenza ad atto. Dunque è necessario porre un motore che permetta questo passaggio. Perché se un ente possedesse già la forma in atto in potenza non sarebbe necessario il cambiamento. Dunque per non far proseguire all’infinito la catena di motori è necessario porre un motore in mobile, che è pura forma e dunque puro atto. Pensiero di pensiero. Questo muove e orienta il cambiamento nel mondo, senza tuttavia avere un rapporto diretto con esso. È infatti l’amore verso il motore immobile e l’attrazione a guidare il cambiamento.” CONTINUA.

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