Già il titolo mette in guardia, vero!? Questa parola ha cominciato a ronzare nella mia testa due settimane fa (ed il vuoto che c’è lì dentro, vi assicuro che è un’ottima cassa di risonanza!). La corda che vibrava nel mio cervelletto, era tesa ai capi da due notizie che avevo letto: la prima riguarda il sistema Airchat; un apparecchio che è in grado di connettersi alla rete attraverso un trasmettitore di onde radio e quindi non necessita di collegamenti via terra, antenne satellitari o wifi spot. La sua creazione si deve a dei membri di Anonymous e lo imagescopo dei suoi realizzatori è quello di creare un sistema di trasmissione e ricezione per internet, impossibile da isolare e difficile da localizzare in modo da essere impiegato nelle situazioni in cui le linee di comunicazione via cavo e satellite vengano bloccate. La seconda notizia, arriva invece dalla Tailandia, dove l’esercito, appena preso il potere, ha prontamente isolato tutti i mezzi di informazione che riteneva “nocivi ” per la stabilità del governo, la stessa cosa è avvenuta anche in Siria, Bosnia, Egitto e altri teatri di conflitto, ed è da anni prassi comune in Corea del Nord e Cina (per approfondimenti basta consultare il sito di “giornalisti senza frontiere”).

Queste due notizie mi hanno indotto alla riflessione sugli hacker; gente che è etichettata come nemico dell’ordine costituito, può essere invece un elemento di equilibrio contro gli abusi del potere politico ed economico? Per capire la mia perplessità, va precisato che la mia età mi ha permesso di abbracciare tutta l’evoluzione dell’informatica dal Commodore 64 fino all’Ipad, ma tra i due dispositivi le cose si sono evolute parecchio e non solo tecnologicamente. Negli anni ’80, lo scenario per il grande pubblico era molto chiaro, un hacker era semplicemente qualcuno che rubava soldi e informazioni a grosse compagnie o manometteva sistemi di informazione per scopi di lucro. Pochi però sanno che il termine originale per questi individui era in realtà “cracker” e la distinzione non é solo pignoleria semantica.

Gli hacker erano legati ad uno spirito più goliardico che nacque negli anni ’60, infatti la parola “hack” in origine era usata per definire uno scherzo tra confraternite abbastanza leggero e senza conseguenze, negli anni ’80 i veri hacker erano ragazzi che “per divertirsi” scrivevano programmi in codice sorgente. Con l’avvento di internet e i rapidi progressi dei personal computer le cose si sono fatte più serie, già negli anni ’90 con l’arrivo di Linus Torvalds e il suo famoso Kernel Linux si rafforzò l’idea del software libero e della lotta contro i copyright dei codici sorgente detenuti dalle grandi compagine, bisogna infatti ricordare che la comunità degli hacker in America, era composta da molti membri dell’MIT che si occupavano quotidianamente dello sviluppo programmi per computer e li condividevano liberamente con colleghi di tutto il mondo. Questi accademici dell’informatica si ribellavano al concetto della proprietà esclusiva delle idee e dei programmi che per loro dovevano rimanere liberi. Dagli anni ’90 in poi, si assiste ad un’ulteriore evoluzione di questa comunità virtuale, sempre più impegnata in ambito sociale e politico, senza una struttura rigida ma composta da gruppi autonomi in contatto tra loro; gli obiettivi e i metodi di questi hacker si possono dividere in due categorie che sono state definite dagli stessi membri, i primi sono “i cappelli neri” con un orientamento più orientato verso la guerra contro coloro che ritengono nemici della libertà, come ad esempio Anonymous, con operatori sparsi in tutto il mondo che agiscono minando i siti di obiettivi che ritengono contrari o nocivi alla libertà, con attacchi lampo; oppure WikiLeaks che con la sua vicenda ha scatenato una riflessione globale su quali confini esistono per i diritti di informazione dei cittadini. Accanto a questi ci sono “i cappelli bianchi“, con obiettivi più costruttivi e orientati alla diffusione di informazione libera un esempio è proprio quello di Linus Torvalds e i successivi sviluppatori di Linux e tante realtà del mondo open source. Oggi però non si possono più etichettare gli hacker come semplici mitomani o fuorilegge, la loro opera di denuncia contro tutti i poteri, può creare dissenso, ma è anche un pungolo per una società che forse è troppo anestetizzata dalle fonti di informazione ufficiali e dai loro filtri di convenienza.

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