Quando ci si prepara all’incontro con un Lord è facile lasciarsi trascinare nel vortice dell’immaginario collettivo, prefigurarsi un portamento pomposo, una velata riverenza di memoria regale e, diciamocelo, un po’ di “spocchiosità”.
Quando ci si prepara all’incontro con un Lord che è anche scrittore di successo, non c’è immaginario che tenga, si è totalmente impreparati ed è necessario predisporre l’animo al piacere della sorpresa; ed è esattamente questo quello che ho fatto in occasione dell’incontro organizzato da Fazi Editore , con Michael Dobbs, autore di House of Cards, ripubblicato proprio da Fazi in contemporanea con la messa in onda su Sky dell’omonima serie. A moderare la presentazione di House of Cards 2, Giancarlo De Cataldo, un italiano, un magistrato, uno scrittore, ma soprattutto un esperto, anch’egli, di giochi di potere.
Come dicevo, la predisposizione alla sorpresa è stata la mia parola d’ordine, predisposizione generosamente ricompensata da Lord Dobbs, uomo di animo leggero e intuito fino; le sue risposte alle curiosità del pubblico appaiono concepite in leggerezza, la stessa genesi del romanzo è raccontata come un’epifania improvvisa, la combo tra la risposta ad una provocazione e un bicchiere di vino a bordo piscina.
Non solo leggerezza per Lord Dobbs. Se è vero però che la penna di uno scrittore non traccia strade che non siano state già percorse, il protagonista di House of cards Francis Urquhart (divenuto poi Frank Underwood nella serie americana) non può nascere da un buco nero ma accoglie necessariamente una buona dose di autobiografismo ed io, ormai guidata da teorie della letteratura, non posso che ipotizzare quanto Dobbs stia svelando di sé stesso a noi, attenti ascoltatori, quando ci spiega la vocazione politica come ricerca di un riscatto personale, un incrocio indissolubile tra aspirazioni pubbliche e private. Quando poi parla di sofferenza mi domando, inevitabilmente, quale sia la sua: «Molti politici hanno nel privato una sofferenza che spinge loro al riscatto e li ispira sul piano pubblico». Se aggiungi a tutto questo la funzione taumaturgica della scrittura il gioco è fatto: la persona che ho davanti è tutt’altro che “leggera” , semmai è intenta a praticare esercizi di leggerezza che è cosa ben diversa.
Una letteratura consapevole. Le sorprese non finiscono qui. Michael Dobbs, lo scrittore un un po’ per caso, il politico dalla penna birichina il cui personaggio «non sembrava avere un presente, figuriamoci un futuro» ha in realtà una fortissima consapevolezza del ruolo giocato dalla scrittura e dallo scrittore: «Lo scrittore ha un enorme privilegio datogli dalla finzione, può rivolgersi a chiunque e chiunque si fida di lui , diversamente da quanto accade con i giornalisti.». Solo uno scrittore consapevole del proprio ruolo può, infatti, gioire di un’intelligente riscrittura della propria opera: Dobbs definisce il rapporto con il network hollywoodiano che ha prodotto la recente serie, idilliaco, una collaborazione professionalmente preziosa non esente da colpi di genio come la rielaborazione del rapporto tra Frank Underwood e sua moglie.
E la politica? Nel romanzo così come nella serie tutto prende il via da una contrapposizione, dallo scontro tra poteri forti, ed è proprio il conflitto, secondo Dobbs, la chiave della politica, ciò che la anima e infuoca, ciò che, portato alle sue estreme conseguenze, fa dire ad Urquhart/Underwood: «contrattacca per primo». A proposito di politica non può mancare un consiglio al premier Matteo Renzi (non nuovo agli amichevoli suggerimenti di Dobbs) al quale il Lord raccomanda: «indossi gli stivali chiodati che Margaret Thatcher custodiva gelosamente e si metta in marcia, un politico non deve essere amato ma rispettato»
Son trascorse quasi due ore da quando, ancora bagnata dalla pioggerellina romana, ho preso posto in sala. Seduta nel mio angolino, avendo come unica compagna la predisposizione alla meraviglia, me ne vado – seppur con l’amaro sentore che per alcuni la letteratura sia più scorrevole quando vi si legge esclusivamente di politica – arricchita e appagata . Arricchita da una serie di riflessioni fresche e stimolanti, appagata dall’ascolto di un uomo che è il connubio perfetto tra il peso di una carica pubblica e il garbo della scrittura curativa.
Un Lord che, con la complicità della finzione, può (ri)creare un machiavellico personaggio disposto a tutto, e rimanere, allo stesso tempo, un perfect gentleman.