E’ un fatto che la poesia italiana contemporanea – a partire da un certo punto del Novecento – si avvalga di un linguaggio esoterico, carico di immagini evanescenti e più o meno astratte perché atte a suscitare nel lettore lo straniamento, l’empatia e l’astrazione. E’ un fatto che la poesia rischi di trasformarsi, alcune volte, in un esasperato accavallamento di figure, un coacervo di no sense in bilico tra geniale e banale. E’ un fatto che Le prime volte non c’era stanchezza – antologia poetica di Luigi Finucci, pubblicata da E R E T I C A edizioni non corra assolutamente questo pericolo.
Si perché i versi di Finucci viaggiano gentili nella bocca e negli occhi di chi li legge dipingendo cartoline romanticissime e reali: i mattini d’estate, il profumo fresco del bucato, il rosa cullante dei pescheti. Ogni immagine scorre tanto dolce e fluida che risulta impossibile non immaginarsi lì, spettatori della propria vita, a trastullarsi con i ricordi che l’hanno raffinata.
E proprio il ricordo, presente nella raccolta a partire dal titolo, è l’elemento centrale della poesia di Finucci; non solo per l’ assidua occorrenza dei quando e dei verbi coniugati all’imperfetto, ma per la funzione poetica che il fattore svolge: sembra quasi di intravedere nelle rime del poeta marchigiano, manco a farlo apposta, un piccolo Leopardi, quello che affida alla ricordanza e alla memoria il cuore del proprio canto: «Al tempo dei canti mattutini il gallo raccontava la notte sui crinali della rugiada […]»; « Quando il bianco era nel cielo andavo al mare di mattino.[…]». In perfetto stile leopardiano il discorso sul ricordo non si esaurisce in vuoto racconto di un’età dell’oro ma è riflessione sul tempo che scorre e che depone nel non tempo della nostalgia da una parte l’essenza della felicità e dall’altra l’impossibilità di viverla nel presente: « Il mentre che s’accartoccia in una nostalgia non avuta […]».
Un po’ Leopardi e un po’ Pascoli perché è difficile, anche solo per forza di suggestione, non calare nei panni del « Piccolo bambino/ scomparso nel passato, […]» il fanciullino pascoliano in grado di cogliere la magia oltre il raziocinio, «quell’eternità/ finita tra/ i capelli bianchi.». E’ difficile non avvertire nella natura ristoratrice di Finucci un richiamo a quella misteriosa e affascinante del poeta romagnolo.
Due parole, infine, sull’età del poeta: classe 1984, Luigi Finucci è poco più che trentenne; stupisce dunque il tenero languore con cui si rivolge a giorni che sembrano essere fin troppo lontani. Stupisce ma non dispiace perché ha come risultato un verseggiare delicato e accogliente, sinceramente antico come solo l’autentica poesia sa essere.
LUIGI FINUCCI nasce il 15/05/1984 a Fermo (Marche), dove risiede.
È autore del libro di poesie “L’ultimo Uomo – Giaconi Editore (2013)” e del libro di poesie per bambini “L’aspirante Astronauta – Giaconi Editore (2015)”.
Ora collabora con Bibbia d’Asfalto:Poesia Urbana e Autostradale, rivista di poesia contemporanea.
I suoi componimenti sono presenti in diverse riviste e blog ( larosainpiù, Iris news, Penne Armate, In.Arti.Poesia, Pastiche Rivista, Versante Ripido, Words Social Forum ).