Ci sono alcuni testi che mi devono trovare in una corretta disposizione mentale per farsi leggere. Le ragioni di ciò sono molteplici e presumo che valgano un po’ per tutti. Ad esempio, io, non riesco ad affrontare tomi sopra il chilo di peso in piena estate. Il caldo fa rallentare i miei neuroni che non hanno più di un quarto d’ora di resistenza. Perciò, d’estate, niente Guerra e Pace per me.
La questione più spinosa però non ha a che fare con il numero di pagine che un libro possiede, bensì con la quantità di pressione che questo esercita sulla mia emotività. Sono una persona emotiva e non ne faccio mistero, mi rallegro anzi di avere ancora il potere di commuovermi. Certo, vorrei evitare di mettermi a piangere mentre guardo Fantozzi venire preso a schiaffoni, ma a tutti ci si abitua.
Avevo con me “Nel nome della madre” già da qualche giorno e siccome sapevo di cosa parlava l’ho tenuto ben distante. Avevo paura che non fosse il momento giusto per affrontarlo. Se sai già dove si va a parare, se sai già quale strada devi percorrere per arrivare a vedere la luce in fondo al tunnel devi sentirti estremamente preparato. Altrimenti rischi di crollare a metà, di fuggire.
Il libro di Alessandro Greco parla di una storia vera, la sua. Alcuni anni di vita di una persona che stava per diventare padre per la seconda volta e contemporaneamente si vede affiorare lo spettro di una morte prematura a causa di un tumore*. Una persona che vede la sconfitta del male e la morte del proprio secondo figlio. La sto facendo breve, mi costa fatica anche scrivere di ciò che ho letto. Quella persona è Alessandro Greco.
Mi sono chiesto, mentre leggevo, se tutto quello che scorreva sotto i miei occhi avrebbe dovuto farmi provare pena per lui, se avrei dovuto nutrire un’innata simpatia per un essere umano che era passato attraverso tutto questo ed era sopravvissuto (anche se le parti di noi che perdiamo sono le più difficili da vedere dall’esterno). Ho concluso questi miei pensieri con l’idea che niente di tutto ciò deve avvenire con un libro. Nessuna storia tragica deve influenzare il nostro giudizio su una persona, ma semmai dovessi incontrare Alessandro Greco credo che farei fatica a non appoggiargli una mano sulla spalla e stringergliela lievemente.
La lettura di questo libro non è semplice. O meglio, il libro fila via, ma ciò che racconta vi rimane addosso. Non mi è stato possibile fare una delle mie solite lunghissime sedute di lettura. Però voglio dire una cosa, una cosa che non so nemmeno se Greco avesse in mente quando ha scritto “Nel nome della madre”: ogni minuto conta.
Mi auguro che alla fine, quando Greco ha messo il punto finale a questo libro, si sia sentito almeno un po’ meglio, più libero, un po’ più leggero. Anche se ciò che è stato non viene lavato via dal tempo, quello che ci aspetta, le persona che ci aspettano, sono davanti a noi.
*Sapete, dalle mie parti spesso si usa dire che una persona è morta “per un brutto male”. Quando ero bambino mi sono sempre chiesto quale fosse questo brutto male, perché definirlo senza definirlo te lo fa odiare ancora di più. E’ una malattia subdola, ma ha un nome. I vecchi continuano a definirlo “un brutto male”, ma io ho cominciato a chiamarlo con il suo nome da quando avevo quattordici anni.
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Alessandro Greco – Nel nome della madre. https://t.co/JXOaFH43Fq
Un libro emotivamente impegnativo. Alessandro Greco – Nel nome della madre. https://t.co/JuINnEcVL7
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