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Alan Poloni – L’uomo che rovinava i sabati

by Gianluigi Bodi
Alan Poloni

Mi verrebbe da fare alcune considerazioni partendo dal fatto che non ho visto né sentito parlare abbastanza de “L’uomo che rovinava i sabati” di Alan Poloni. Pur essendo consapevole che di libri nuovi ne escono ogni giorni a centinaia, pur essendo consapevole che non tutti i libri hanno il risalto che meritano e che altri invece hanno più spazio del dovuto (questo ovviamente secondo i miei gusti personali di lettore), mi pare che il libro di Poloni abbia avuto poca “stampa” e la cosa mi sembra davvero fastidiosa perché questo è davvero un gran bel libro.

Nella meravigliosa Val Crodino vive il popolo discendente dei Comuni, un popolo che ha un sistema di valori tale per cui è meglio andarsi a vedere un concerto piuttosto che star lì a sistemare la facciata della casa. Meglio lavorare su ciò che sta dentro di noi piuttosto che modificare l’aspetto esteriore cercando di dare un’immagine che magari non corrisponde a ciò che siamo veramente. Tra gli abitanti di un’eclave della Val Crodino Alan Poloni ce ne fa conoscere in maniera approfondita tre.

Palmiro, detto Palma o Miro, liutaio con una vera e propria venerazione per i materiali e per le vecchie pratiche artigianali; artefice della Palm, una chitarra da lui costruita con amore e passione e al quale, sempre lui, dà nomi di donne. Palmiro ha una storia d’amore alle spalle, lei si chiama Roberta e Palmiro ne è ancora innamorato. Pare che uno dei motivi per cui lei lo ha lasciato abbia a che fare con la voglia di fuga di Palmiro, fuga che spesso passava attraverso l’uso di funghetti allucinogeni e altre sostanze psicotrope.

Il secondo abitante è Malcom Chiarugi, impiegato un una ditta che vende WC chimici (per intenderci quelli che potreste trovare a una fiera di paese), ma impegnato a far decollare la propria carriera musicale. Ha all’attivo qualche album di medio successo e sta lavorando a un concept album come se ne facevano negli anni ’70. Grandissimo seduttore, attorno a lui ruotano un buon numero di ragazze e nessuna di loro sa dell’esistenza delle altre. È probabile che il nuovo album di Chiarugi spariglierà le carte in tavola.

E poi Giacomo, detto Jack Ebasta. Poeta tardo-beat a tempo pieno. Vive una vita di stenti e ha alle spalle un periodo di autodistruzione durante il quale ha dovuto spesso chiedere a Palmiro di andarlo a prendere da qualche parte nella valle. Ha deciso di smettere con la poesia, ma la grappa Nonino ha in mente una proposta che non può rifiutare.

Questi sono i tre personaggi chiave che si muovono durante tutto il libro, a loro sono dedicanti ampi capitoli e le loro storie inizialmente sembrano essere una distinta dall’altra fino a che, a un certo punto, il lettore capisce che il legame tra i tre è già molto forte in partenza e verrà reso ancora più forte dal finale de “L’uomo che rovinava i sabati“.

Mi trovo in difficoltà a riassumere le tematiche affrontate da questo libro. Si tratta di un romanzo che sfiora le trecentocinquanta pagine e che per questo motivo contiene in sé davvero molti spunti di lettura. Quello che mi ha colpito di più, di questi filoni, è quello che segue la battaglia che i tre protagonisti, ognuno a proprio modo, combattono con l’esterno per cercare di essere sé stessi. C’è un forte senso di dignità nel modo in cui Palmiro, Jack e Malcom vivono la loro vita. Jack ha deciso di sacrificare praticamente tutto per inseguire una vocazione. Palmiro rivendica il diritto di fuggire dal mondo con le sostanze psicotrope e cercherà fino in fondo una prova del fatto che ciò fa con la psilocibina ha delle ragioni storiche profonde ed è, di conseguenza, una pratica degna di rispetto. Malcom sopporta il padrone ignorante e grezzo pur di avere la possibilità di esprimersi con la propria musica. Non c’è davvero nulla che non vada in questi tre personaggi o forse semplicemente mi sono piaciuti così tanto da voler giustificare anche i comportamenti meno ortodossi.

Vorrei poi spendere due parole sulla caratterizzazione della Val Crodino. Leggendo “L’uomo che rovinava i sabati” di Alan Poloni mi è sembrato di essere lì tra i personaggi al punto che ho dovuto controllare su Google Maps per avere la conferma che quello di cui si parlava nel libro era un posto inventato. Mi è dispiaciuto molto scoprirlo perché se davvero esistesse un luogo del genere, un posto in cui gli abitanti vanno ancora ai reading di poesie o nei locali con musica dal vivo c’è ancora un pubblico interessato e competente mi sarebbe piaciuto visitarlo.

E questo punto porta a quella che è la mia personale conclusione riguardo a “L’uomo che rovinava i sabati”. Il libro è scritto benissimo, il ritmo della scrittura è sempre ben dosato; le parti si amalgamano alla perfezioni tra di loro e l’escalation finale con tanto di incontro quasi mitologico è costruita con sapienza.
A volte leggo alcuni commenti o recensioni in cui si dice, come unico metro di giudizio, che un libro è stato divorato in pochissimo tempo. A me sembra che ciò sia davvero poco per definire la bontà di un testo, ma anche questa rientra nelle idee che ho maturato con il tempo e che possono tranquillamente anche restare solo mie. Questa velocità e facilità di lettura, nel caso de “L’uomo che rovinava i sabati” è il risultato di una serie di fattori che includono la brillantezza della trama, la scrittura molto ben curata, degli argomenti che mi sono sembrati di attualità e una serie di personaggi così umani da farli spiccare sulla pagina.
Questo libro si candida per un posto nella top 10 del 2021, si tratta di uno di quei libri che riescono a mostrare la vastità della cultura di chi lo ha scritto senza mai risultare pesante e didascalico.

Alan Poloni, bergamasco, insegnante redento e oggi libraio, ha esordito con il romanzo Dio se la caverà (Neo, 2014) e ha partecipato all’antologia Teorie e tecniche di indipendenza (Verbavolant, 2016). Per il teatro ha scritto Ominidi 2.0 (2012) e Platone Resort (2016), messi in scena dalla Compagnia degli Spacciati di Bergamo. Con la Martin Eden Experience scrive e progetta reading in cui si miscelano musica e letteratura, tra cui Storia mitologica del Rock (2017) e Rock and Roll Is Not Dead (2020). Ha recensito narrativa e saggistica per riviste online e collaborato con diverse testate locali.

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