Avrei un desiderio. Vorrei che si parlasse un po’ di più di questo libro perché se lo merita. Ho dato un’occhiata in giro e non so per quale motivo, ma pare che siano in pochi ad aver notato “L’ultimo singolo di Lucio Battisti” di Adriano Angelini Sut. So che l’editoria ha regole particolari che sfuggono quasi del tutto alla mia comprensione, ma spero che in questo caso il passaparola funzioni.
A partire dalla copertina del sempre ottimo Maurizio Ceccato non c’è proprio nulla che non vada in questo libro.
Andiamo per ordine. L’Italia si sta trascinando lentamente fuori dalla seconda guerra mondiale. Una devastazione del corpo e dell’anima. Sta facendo conoscenza con una forma di governo chiamata Repubblica che tanto sembra promettere. L’occhio si sposta su Roma. È il 1953 quando inizia la storia di tre famiglie. Tre famiglie che, uscendo dal conflitto, devono ritrovare un equilibrio. Si tratta dei De Santis in cui Natale trattiene la musica nell’animo. I leoni, commercianti ebrei dediti al lavoro e gli Antei di provenienza fascista e dediti alla politica. Sono storie famigliari che si intrecciano poco prima delle Olimpiadi di Roma del 1960 e proseguono fino alla soglia del nuovo millennio. Raccontano la storia di un paese e di una nazione in stato confusionale che cerca di ritrovare la strada e sappiamo bene quanto difficile sia riempire un vuoto.
La scrittura di Adirano Angelini Sut ha il potere di farti entrare all’interno della storia nel giro di poche righe. I personaggi vengono delineati con precisioni fin da subito. Sappiamo, in cuor nostro, dove andranno a parare e la cosa, se da un lato sempre ineluttabile, dall’altro ci fa sperare in una svolta. Roma è raccontata con passione e, oserei dire, nostalgia. Il libro supera le cinquecento pagine eppure non è mai pesante, cosa che non si può certo dire di tutti i libri brevi. Sembra di leggere una saga familiare d’altri tempi e lo scrittore tiene ben strette le redini dalla storia senza farla deragliare. I dialoghi sono ben calibrati, il romanesco cede il passo all’italiano che poi si rituffa nel romanesco, quasi come se i personaggi oscillassero tra la necessità di sentirsi parte di qualcosa di grande come l’Italia, ma il loro essere romani, la loro materia fosse altra, fosse più genuina, meno costruita e finta.
Sono davvero contento di aver letto questo libro, lo sarei ancora di più se le mie parole servissero a far scattare il passaparola. Non fatevi spaventare dalla mole, è un libro che si legge da solo. Linguaggio e stile sono quanto di meno difficile da leggere
Romano classe ’68, traduttore e scrittore ha all’attivo diverse pubblicazioni, fra cui due romanzi e due guide per Newton Compton. Ha collaborato con il Foglio e Radio Radicale.
Prima di uscire con Gaffi ha pubblicato il saggio “Mary Shelley e la maledizione del lago” per XL edizion,i di cui sono state realizzate diverse ristampe.