Abbas Khider – I miracoli

by Gianluigi Bodi
Abbas Khider

Qualche tempo fa scrissi una recensione per un libro della casa editrice “Il Sirente” (L’autistico e il piccione), dicendo come, secondo me, quel libro era una sorta di svolta e che ero curioso di leggere l’opera successiva per rendermi conto se la strada intrapresa sarebbe stata la stessa o se ci sarebbe stata una deviazione.
Ecco quindi che, ad un certo punto, mi trovo tra le mani “I miracoli” di Abbas Khider e tutto si chiarisce. Il libro precedente non era stato un mero colpo di fortuna, le cose stanno davvero andando dove avevo intuito. “Il Sirente” è diventata grande e io ne sono estremamente felice.
I miracoli” racconta la storia di un Iracheno, in profugo. Sfuggito dall’Iraq perché ad un certo punto quando pioveva piovevano bombe, il nostro protagonista, tra varie peripezie, finisce in Germania. Il suo sogno è quello di andare in Svezia, ma una volta raggiunto il suolo teutonico non può più proseguire. E’ stato schedato e ogni tentativo di chiedere asilo in un altro paese lo farebbe ritornare in Germania.
Attraverso questa versione romanzata Abbas Khider ci racconta la propria storia. Il profugo in realtà è lui.
Mi è capitato, di recente, di leggere un altro libro simile pubblicato dalla Del Vecchio, si tratta di “Diario di frontiera” è ho notato che i tratti sono simili. Sono entrambe storie raccontate senza pigiare sul tasto della pietà.
Rasul Hamid, l’alter ego di Abbas Khider, trova su un treno un plico lasciato lì da un passeggero che si alza e non fa più ritorno. Mosso da curiosità lo apre e all’interno vi trova un manoscritto. Un manoscritto che racconta la storia della sua vita e che ci accompagna, con un tono disincantato, tra tentativi di fuga e soggiorni in carcere, tra prostitute e truffe per guadagnare qualche soldo, tutto con l’idea di trovare davanti a sé una vita migliore. Rasul Hamid è un poeta, per scrivere è costretto a rubare ogni genere di carta nei posti più disparati, soprattutto quando il demone della creatività (chiamiamola ispirazione) gli afferra le viscere. Scrive perché i luoghi in cui è stato lasciano su di lui dei segni e lui, questi segni è obbligato a metterli su carta.
Quella che leggerete è la storia di una persona che non si è mai persa d’animo. Una persona che prima di essere un profugo è un poeta e quindi porta la bellezza dentro di sé. Abbas Khider riesce a raccontare questa storia rimanendo in perfetto equilibrio sopra un filo teso. Se cadesse di sotto finirebbe in mezzo alla pietà, al patetico, alla misericordia. Ma a lui evidentemente non interessa muovere quelle corde, interessa dar corpo alla speranza, interessa mostrare come l’arte sopravviva a tutte le brutture del mondo.

La traduzione è ottima ed è ad opera di Barbara Teresi, davvero una piacevole lettura.

Come ho già scritto sopra, il libro di Rodaan Al Galidi era stata una scintilla, spesso alle scintille non segue il fuoco (come ben sa chi cerca di accendere il barbecue), questa volta l’incendio è divampato. Siamo su una buona strada, un’ottima strada.

Abbas Khider è nato a Bagdad nel 1973. Nel 1990, a causa di motivi politici, è stato arrestato e detenuto due anni nelle carceri irachene, nel 1996 ha lasciato il paese. Tra il 1996 e il 1999 è passato clandestinamente per vari paesi europei in cerca di rifugio, stabilendosi definitivamente in Germania nel 2000. Khider ha studiato Filosofia e letteratura a Monaco e Potsdam, attualmente vive a Berlino. Ha vinto numerosi premi di poesia e letteratura, tra gli altri il premio Adelbert von Chamisso Prize per il giovane autore più promettente nel 2010 e i premi Hilde Domin Prize e Nelly Sachs Prize nel 2013.

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