Narra la leggenda che un Quentin Tarantino appena quindicenne fu scortato a casa dalla polizia dopo aver rubato in un supermarket il libro “The Switch” di Elmore Leonard, uscito in Italia con il titolo “Scambio a sorpresa” (Giallo Mondadori). E che sua madre Connie per punizione lo costrinse a leggere una quantità inverosimile di libri durante le vacanze. L’unico film di Tarantino esplicitamente tratto da un romanzo è “Jackie Brown” scritto ovviamente da Leonard e uscito con il titolo “Punch al rum” e, siccome nel cinema di Tarantino tutto ritorna, una parte del film sarà proprio ambientata nello stesso centro commerciale dove il regista allora quindicenne rubò il libro, il Del Amo Fashion Center. È forse Tarantino uno dei più grandi narratori moderni? Su questa domanda si potrebbe discutere intere giornate, anche perché il suo cinema divide più che unire. Ci sono forti contrasti tra chi è innamorato del suo cinema fino a diventare quasi un estremista e chi, invece, lo considera estremamente sopravvalutato. Premettendo che io faccio parte del primo gruppo e quindi non posso essere pienamente oggettivo, non si può negare che all’interno dell’universo parallelo creato dal regista americano vi è un sapiente uso di artifici letterari, come ad esempio spezzare la continuità della storia anticipando e posticipando i capitoli. Cosa che prima di “Pulp fiction” era raro vedere. Inoltre l’uso stesso dei capitoli è tipico dei libri e non dei film. Tarantino quindi può essere considerato uno scrittore che usa le immagini come parole oppure un regista che scrive film? Forse. Sicuramente, anche se viene spesso fatto notare il suo uso smodato di citazioni di altri film, non è da dimenticare l’uso di quelli letterari. Nel suo primo film “Le iene” uno dei personaggi si chiama Mr. Blue ed Edward Bunker in persona ad interpretarlo, uno dei migliori scrittori di crime e noir. Sempre in questo film avrebbe voluto far declamare al personaggio Joe Cabot una poesia di Sylvia Plath ma gli eredi rifiutarono i diritti. Il personaggio della sposa di “Kill Bill” interpretato da Uma Thurman ha notevoli riferimenti alla protagonista del libro “La sposa in nero” di Cornell Woolrich. Vincent Vega interpretato da John Travolta in “Pulp Fiction” ogni volta che va in bagno porta con sé il romanzo “Modesty Blaise” di Peter O’Donnel. Inoltre il titolo di lavoro del film che lo consacrò come regista di culto era “Black Mask”, come le antologie di scrittori pulp anni Venti, quelle che fecero nascere la figura stereotipata dell’investigatore privato che curiosamente Charles Bukowski prese in giro nel suo romanzo dal titolo “Pulp”. Tutto torna. Inoltre non si possono non considerare le influenze nello stile e nei dialoghi del maestro del noir Jim Thompson che nei suoi romanzi utilizzò sempre personaggi truffatori, perdenti, violenti e spesso psicopatici e ha utilizzato quasi sempre un narrazione in prima persona per trasportarci dentro la follia delle sue storie, un po’ come fa Tarantino che sa rendere simpatici personaggi che decontestualizzati dalla narrazione andrebbero incarcerati e allontanati il più possibile. Anche nei suoi ultimi film come “Django unchained “ c’è una scena in cui il dott. Schulz racconterà proprio a Django una parte della storia di “Sigfrido e la saga dei Nibelunghi” e sarà un importantissimo snodo narrativo. Ed è innegabile il riferimento ad Agatha Christie nel suo “The Hateful Eight”. Quindi Quentin Tarantino è un indubbiamente un divoratore di film di qualunque tipo che rielabora e “trasforma” in qualcosa di unico ma anche un buon lettore che riesce a inserire molti riferimenti letterari con estrema nonchalance, senza farcene neanche accorgere. Inoltre ha dichiarato di voler dirigere solamente altri due film e poi abbandonare la regia. Per fare cosa? Ovviamente lo scrittore.
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