William Kennedy – Ironweed

by Gianluigi Bodi

Detto tra noi, è davvero piacevole quando un libro ti costringe a leggerlo con i tempi che detta lui. Probabilmente vi sembrerà una cosa scontata, ma almeno per quel che mi riguarda non lo è. Ci sono libri che leggo troppo velocemente, libri che leggo troppo lentamente. In entrambi i casi la sensazione che mi rimane dopo averli letti è quella di aver forzato la mano, di aver imposto la mia volontà sottomettendo quella del libro.
Nel caso di “Ironweed” ciò non è accaduto. In soldoni cosa significa, significa che per leggere questo grande libro ho impiegato il giusto tempo. Dieci giorni all’incirca. Tutto il tempo che è stato necessario per sentirmi un compagno di Francis Phelan, sofrfire con lui, gioire con lui delle estemporane vittorie, essere in disaccordo (spesso) con le sue scelte di vita e, infine, arrendermi alle sue decisioni.

Francis è un barbone, un senzatetto, senza fissa dimora, un vagabondo che per un certo periodo della vita aveva pensato di sfondare come giocatore di baseball e che poi, per una serie di eventi, si è trovato lontano da casa con una bottiglia in mano a battere i denti dal freddo. Attorno a lui, come comete che visitano periodicamente il nostro cielo, altri barboni, uomini e donne dalle vite distrutte per i motivi più diversi. Motivi diversi che portano ad un destino comune e tragico.

Ironweed” di William Kennedy è un libro doloroso da leggere. Fa sanguinare il cuore. I personaggi sono di un’umanità che lascia senza difese. Entrano sottopelle immediatamente. Facciamo il tifo per loro anche se sappiamo che sono destinati a perdere. Tra tutti Francis, il protagonista, costretto a vivere a stretto contatto con i morti, morti che continuano a ricordargli il proprio passato. Ciò che eri può fare di ciò che sei un mucchio di macerie fumanti. Francis forse è quel mucchio di macerie, ma è un tipo tosto, pare rimanere ancora in piedi, magari con un po’ di calcestruzzo e un paio di tavole di legno a puntellarlo. Barcolla ad ogni passo, ma c’è. Possiede una grande forza di volontà, una dignità che risplende anche nelle notti senza luna, anche nei bivacchi improvvisati.

Sapete tutti quanto siano oscuri i tempi in cui viviamo. Quanto si sia persa la capacità di provare empatia nei confronti degli altri esseri e umani e quanto questa deriva stia procedento a velocità sempre più elevata. Mi è sembrato, mentre leggevo “Ironweed” che questa lettura potesse essere un tentativo per arginare la perdità di umanità. Mi è sembrato che fosse un medicinale da prendere per stare un po’ meglio, per vedere al di là del nostro naso.

Spero che questo libro trovi tutti i lettori che merita.

Traaduzione di Luciana Bianciardi.


William Kennedy è nato ad Albany, la città in cui ha ambientato quasi tutte le sue opere. Giornalista, storico e romanziere, deve la sua fama alla trilogia composta, oltre che da Ironweed, da Billy Phelan’s Greatest Game e da Legs, dedicati rispettivamente alla corruzione in politica e al gangsterismo, entrambi di prossima pubblicazione nella collana minimum classics. Ha lavorato anche per il cinema, collaborando con Francis Ford Coppola alla sceneggiatura di Cotton Club.

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