Farsi un tutto nella letteratura giapponese non fa mai male, soprattutto se si riescono a evitare i soliti nomi (che pure ho apprezzato e in parte ancora apprezzo) e ci si lascia trasportare dalla corrente, anche se quella corrente ti porta dalle parti di Yu Miri, sudcoreana Zainichi, ossia nata e cresciuta in Giappone. Anzi, in realtà, finire dalle parti di Yu Miri mi è sembrata una gran fortuna proprio per il suo vissuto e per la sua capacità di infondere nuova linfa nella letteratura nipponica e di posare uno sguardo diverso sulle cose.
“Tokyo – Stazione Ueno” racconta la storia di in uomo che di cognome fa Mori, nato in una famiglia prima di mezzi, dopo essersi sposato ha iniziato un viaggio infinito attraverso il Giappone, inseguendo lavori più o meno stabili, nel tentativo di racimolare i soldi necessari da mandare a casa ai genitori, alla moglie e ai due figli. Purtroppo per Mori, quando sembra che finalmente possa diminuire i ritmi e magari avvicinarsi verso casa, un lutto devastante lo sgretola molto più velocemente di quanto avessero fatto i duri lavori svolti durante tutta la sua vita.
Mori è un vagabondo, pur non essendolo del tutto, non fino in fondo almeno. Ha fatto parte di una certa manovalanza che ha contribuito alla rinascita post guerra del Giappone, ma è stato usato e consumato, pronto a essere sostituito con sangue più giovane. È appunto la improvvisa mancanza di un orizzonte futuro che lo annienta e lo allontana da un possibile lieto fine.
Mori ha lavorato una vita in giro per il paese, il ricordo più vivido che ha con il figlio è la sua nascita, poi ha vissuto vent’anni lontano da casa, mentre i figli crescevano, la moglie invecchiava e i genitori si piegavano a causa dello scorrere del tempo.
“Tokyo – Stazione Ueno” è un romanzo disperato, pieno di dolcezza e malinconia, raccontato in prima persona senza scadere nel pietismo, ma anche un romanzo che racconta la storia del Giappone, la sua cultura, il rapporto con la religione Buddista e i rapporti sociali. Rapporti sociale che si sgretolano una volta che Mori lascia il paese, ma che sembrano rinsaldarsi appena torna a casa, come se anche nel rapporto tra le persone ci fossero dei riti indistruttibili da rispettare, nonostante tutto. Riti che svaniscono una volta che Mori diventa uno tra i tanti, quasi che l’io del narratore perda di consistenza attraverso lo sguardo della grande metropoli e del più grande evento sportivo dell’era moderna: Le Olimpiadi.
Traduzione ottima di Daniela Guarino.
Segnalo inoltre la copertina del libro di Jacopo Starace che trovo molto bella e che ricorda molto da vicino lo stile dei Manga.
Yu Miri è nata è un autrice sudcoreana Zainichi, cioè nata e cresciuta in Giappone da genitori sudcoreani. La sua lingua madre, con cui scrive, è il giapponese. Nel 2011 dopo il disastro nucleare di Fukushima si è trasferita nelle zone colpite da terremoto, tsunami e radiazioni trasmettendo con una postazione radio da campo, in cui intervista i sopravvissuti al disastro.
Gli altri libri di 21 Lettere recensiti su Senzaudio li trovate qui e qui, mentre qui trovate un’intervista a Daniele Nadir.