Home Inchiostro - Recensioni di libri indipendenti e non. Quando parlavamo con i morti – Mariana Enriquez

Paratesto:

La copertina che è stata scelta per accompagnare questo libro potrebbe bastare a darvi un’idea di ciò che troverete dentro. E’ vero, da un lato, l’immagine ritratta, vi introduce immediatamente al cuore del primo racconto, quello che da il nome alla raccolta. Ma è altrettanto vero che dall’altro lato, l’ombra sul muro è lì, inquietante e voi non potete sapere se sta quadrando le tra ragazze sedute sul pavimento o se sta osservando voi.

Testo:

Per un’appassionato di letteratura latino americana e, in particolar modo, argentina, un libro scritto da un contemporaneo è sempre un libro sospeso tra la speranza che renda onore ai grandi autori del passato e la consapevolezza che nessuno (nel mio cuore) può sostituire i grandi maestri della narrativa argentina.
Quindi, capirete, che leggere “Quando parlavamo con i morti” di Mariana Enriquez, mi intrigava. Il fatto è che dopo mezz’ora che mi era arrivato il libro io lo stavo già studiando. Inizialmente l’ho preso da lontano, ho guardato la copertina, la scelta del carattere, ho preso confidenza con la scelta del racconto e con l’insieme dell’oggetto libro. Poi, impaziente, ho iniziato a leggerlo. A sera inoltrata il libro era terminato.
“Quando parlavamo con i morti” è una breve raccolta che contiene tre racconti. I primi due, quello che da il titolo al libro e “Le cose che abbiamo perso nel fuoco” sono abbastanza brevi, mentre l’ultimo, “Bambini che tornano” occupa da solo la metà del libro. Aldilà di queste informazioni puramente descrittive ciò che mi preme di più è individuare un filo comune. E’ difficile parlare di una raccolta di racconti, perché potresti essere costretto a soffermarti su uno, magari il migliore, perché non si riesce a trovare qualcosa che leghi in maniera logica tutti i racconti raccolti assieme. Quasi come se l’autore li avesse impacchettati per una pura ragione economica.
In questo caso però, trovare un tema di connessione è abbastanza semplice. O almeno così è parso a me. Io credo che dietro a tutti e tre i racconti di Mariana Enriquez ci sia della pura angoscia, l’angoscia dell’essere umano che viene sfiorato da ciò che non riesce a capire con la logica e la razionalità.
Nel primo racconto questa angoscia produce effetti devastanti sulla psiche di una ragazzina facendola arrivare sull’orlo della pazzia. Nel secondo racconto le donne decidono di bruciarsi senza apparente motivo, ma il motivo c’è e forse sfugge all’umana comprensione. Nel terzo racconto, un una Buenos Aires devastata dalla violenza a tutti i livelli, i bambini cominciano a ritornare da un posto in cui, in realtà, non dovrebbero fare ritorno.
Io non voglio fare paragoni con il passato, ma posso dire tranquillamente che quello di Mariana Enriquez è un modo di scrivere a tratti giornalistico, in cui la descrizione degli eventi viene privilegiata al commento degli eventi stessi. Questo tipo di scrittura molto lineare contribuisce ad accrescere in noi la sensazione di disagio in quanto, leggendo, si ha l’impressione di avere in mano un reportage giornalistico che racconta fatti realmente accaduti. Io credo che questo stile sia la forza di questo libro e sono convinto che il pezzo di bravura della Enriquez lo abbiamo con l’ultimo racconto. “Bambini che tornano” sviluppa le tematiche degli altri due e da la sensazione di essere un racconto compiuto al 100%, si arriva alla fine con la certezza che non una sola altra parola doveva essere aggiunta al testo. Probabilmente è per questo che è il mio preferito, nonostante mi abbia dato più di qualche brivido.
Io credo che gli amanti della letteratura argentina apprezzeranno questo lavoro che indubbiamente rende omaggio ai grandi scrittori del fantastico, tra tutti, io immagino, Cortàzar.

Coordinate:

Non posso parlarvi personalmente di Mariana Enriquez in quanto “Quando parlavamo con i morti” è il primo libro scritto da lei che leggo e, se non erro, il primo ad essere stato tradotto in italiano. Come mi capita in questi casi, per non lasciare le cose a metà, cito quanto scritto dalla casa editrice.

Mariana Enriquez (Buenos Aires, 1973) è giornalista e scrittrice. Collabora con «Radar», supplemento di «Pagina/12», e con le riviste «TXT», «La mano» e «El Guardian». Ha pubblicato Como desaparecer completamente (2004), Los peligros de fumar en la cama (2009) Alguien camina sobre tu tumba (2013). Predilige le atmosfere dark, ma se altrove ha sperimentato il genere horror (come iNo entren al 14GB, antologia dedicata a Stephen King), nei tre racconti di Quando parlavamo con i morti la paura ha sempre connotati metafisici e metaforici, con richiami alla storia dell’Argentina e alla condizione della donna.

Mariana Enriquez

Mariana Enriquez

Caravan Edizioni è una piccola casa editrice nata nel 2010 per “esplorare le tematiche del viaggio e dell’identità culturale“. Io che però sono molto materialista ho subito buttato uno sguardo al loro catalogo e vi ho trovato parecchi titoli interessanti che spero di poter leggere in un futuro prossimo. E’ sempre commovente rendersi conto di come delle piccole realtà editoriali, con uno scouting sapiente, riescano a produrre libri di grande interesse che rischiano di essere dimenticati dalla grande editoria. A volte si arriva prima su un talento sconosciuto e lo si accompagna durante l’ascesa allo status di campione.

La traduzione di questi tre racconti è stata affidata alle sapienti mani di Simona Cossentino e Serena Magi. Non conosco la storia professionale di queste due traduttrice, ma l’effetto complessivo che mi ha dato il libro credo sia anche merito loro, soprattutto per essere riuscite a mantenere inalterato quel senso di angoscia strisciante che arricchisce questo libro.

Il progetto grafico è a cura di Fabio Dionisi e la realizzazione è opera di Manfredi Damasco, un apprezzamento ulteriore va anche a Margherita Barrera per aver disegnato una copertina che rispecchia perfettamente il tema emotivo del libro.

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