1972, Italia, elezioni politiche. Gli italiani si recano alle urne per eleggere il nuovo Parlamento dal quale nascerà il nuovo governo. Nelle settimane di campagna elettorale, Ciriaco De Mita, il re dell’Iripinia, ha le idee chiare e si inventa uno slogan facile facile: votate Dc, votate 1972. E’ il tempo delle preferenze – gli elettori ne possono indicare un numero massimo di quattro – e il politico indica i nomi da scrivere. Siamo nel 1972, voto l’uno, il nove, il sette, il due.
Nel 1991, diciannove anni dopo, gli italiani si recano nuovamente alle urne, nonostante gli inviti al mare di Craxi. Si vota per un referendum: una sola preferenza, non quattro. Vincono i sì. Negli anni successivi, in epoca Tangentopoli, nasce il Mattarellum, scompaiono di fatto le preferenze. Si vota così, per le elezioni politiche, fino al 2006 quando il sistema elettorale diventa il Porcellum. Le preferenze, invece, restano in vigore per le Comunali, Provinciali, Regionali ed Europee. Perché sono state cancellate? Perché, come si è visto anche in casi recenti (l’ex consigliere regionale laziale Fiorito), non favoriscono il voto d’opinione, ma rischiano di diventare uno strumento per infiltrazioni criminali (un deputato eletto può comprare voti o essere lui stesso comprato per un pacchetto di voti) e trasformano la campagna elettorale in una lotta tra candidati dello stesso partito per aumentare la visibilità. Con queste motivazioni, gran parte del panorama politico, si esprimeva in maniera netta e contrario al ritorno delle preferenze. Non ci sono nella nuova proposta targata Renzi-Berlusconi, ma gran parte del dibattito si è concentrata su questo tema. C’è chi ha cambiato idea sul merito, chi è stato sempre per le preferenze, ma molte critiche sembrano strumentali, nate per mettere i bastoni tra le ruote.
E’ però importante che gli italiani conoscano chi eleggono. Una lista bloccata, di 3-4 nomi, permetterebbe agli elettori di sapere i nomi dei futuri deputati, ma sarebbe decisamente meglio se venisse introdotto (a livello costituzionale) il vincolo di mandato elettorale. Si obietta che così nasce, ancora, un Parlamento dei nominati. Vero, si passa attraverso le segretarie (ma non ci sarà la possibilità di candidati in più collegi e, soprattutto, la parità di genere), come succede sempre quando si ha a che fare con la politica, ma è chiaro che il sistema delle preferenze ha ricadute ancora più gravi. Quello che serve all’Italia è avere una legge elettorale chiara e funzionale, una legge che garantisca governabilità. Niente più limbi, niente più compromessi, niente ricatti di partiti che incassano il 3 per cento. Chiaramente, non basta, perché poi serve la classe politica. Questo, però, è un altro discorso.