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Parental Advisory: Smetto quando voglio

by senzaudio

 

A cura di: Graziano Carugo Campi

Un uomo deve essere coerente. E avere sempre un piano di riserva.

 

Mi sono cancellato da facebook. O meglio ci ho provato. Non che mi trovassi male:  tutti attraversiamo delle fasi alterne e quando la vita reale sembra andare in una direzione diversa da quella che vorremmo, succede di perdere l’entusiasmo e la voglia di “raccontarsi”  sul web.

Ti capita di voler essere sempre allegro, di essere positivo anche per chi ti legge, ma ogni tanto semplicemente le giornate da cani si moltiplicano e ti viene voglia di piantarla lì, di chiudere tutto, o semplicemente di sentirti dire “ci mancherai” o “ripensaci”.

Anche un “se resti te la dò” andrebbe bene.

Per chi non è affetto da questa sindrome social network-depressiva tutto apparirà strano, ma  credo di far parte di una discreta cerchia di persone che sente ogni tanto il bisogno di staccare o di sentirsi apprezzati. Chiamatela richiesta di attenzione, mania di protagonismo o egocentrismo: non sono uno psicologo.

Dalle mie parti si dice “tromba che ti passa”, ma la mutua non ti passa la medicina: abbiamo un sistema sanitario da terzo mondo.

La verità è che nessuno di noi è perfetto. Ci sono momenti in cui esageriamo, commenti che non avremmo mai voluto scrivere, messaggi che non avremmo mai voluto mandare, foto in cui siamo taggati che sono ignominiosamente brutte e discussioni nelle quali qualcuno è riuscito a tirar fuori il peggio di noi.

In sintesi: ognuno di noi ha bisogno di un colpo di spugna ogni tanto.

Io ci ho provato: ho preso il mio profilo, vecchio di cinque anni, e prima di disattivare l’account l’ho azzerato. Ho cancellato tutti i post che avevo in bacheca, eliminato tutti gli amici, rimosso tutte le foto, tutti i tag, mi sono tolto da tutti i gruppi, da tutte le pagine e, per andare sul sicuro, ho pure disdetto l’abbonamento di mia nonna a Famiglia Cristiana.

E poi ci ho ripensato, perchè sono un uomo tutto d’un pezzo, che ha sempre un piano di riserva.

Ho quindi riaperto il profilo che avevo chiuso tre anni fa, e tutto era come allora: amici, pagine, gruppi, “mi piace” e via dicendo. Tutto quello che non avevo cancellato era ancora conservato. Dopo tre anni.

Adesso dovrei dirvi alcune cose serie, tipo che la privacy a questo punto non esiste, che siamo schedati per sempre o che la dipendenza da social network ci sta rendendo “schiavi”.
Potrei anche dirvi che ogni volta che arriva il desiderio di mollare, riscopro quanto sia importante per me la vostra amicizia e di quanto ne abbia bisogno.

Ma sarebbero tutte cose che sapete già.

Allora è meglio che vi dica cosa ho scoperto e notato io, veramente:

1. Dopo tre anni di assenza da facebook, quasi tutte le gnocche che avete conosciuto saranno sposate e con figli, quindi non perdete tempo davanti a un pc, tornate a corteggiare le donne come si faceva una volta: attaccate i loro villaggi o compratele a suon di cammelli.

2. Facebook non serve per condividere i cazzi vostri. Serve per sembrare fighi quando conoscete una gnocca. Quindi evitate di parlare di calcio come farebbe Gaucci, di politica come farebbe Borghezio, di postare foto di donne nude, di iscrivervi a gruppi per scambisti e, soprattutto, non fatevi mai taggare nella foto degli aborigeni con i testicoli giganti o mentre ubriachi siete abbracciati a un trans che vi sta limonando un orecchio.

3. Eliminare quello che scrivete sulle bacheche altrui è un’impresa praticamente impossibile, quindi qualcosa di voi resterà sempre in rete. Soprattutto le puttanate. Fate in modo che siano vergognosamente memorabili: un giorno i vostri figli le leggeranno.

E se pensate: “io non mi vergogno di quello che faccio e dico su facebook, sono solo me stesso”, avete la sindrome di Lady Gaga.

Nessuno è tutto ciò che scrive.

Avvertenza: Questo è un articolo semi-serio. I contenuti in esso espresso non rispettano necessariamente il punto di vista della redazione di Senzaudio o quello dell’autore, che forza concetti e stereotipi con l’intento di intrattenere e creare dibattito.

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