L’Utopia del 2 agosto

by senzaudio

È passato un altro 2 agosto. È arrivato, sonnacchioso e uggioso, e, così come era giunto, se ne è andato. È scivolato via. Solo un’altra croce sul calendario. L’ennesimo giorno piovoso e plumbeo di quest’estate autunnale. Dappertutto. Meno che a Bologna. Lì ogni 2 agosto è un giorno a sè. Un giorno speciale. Peculiare. Non da sempre. Da quell’agosto dell’80, ancora vivido nella memoria e nella mente dei suoi abitanti. Non si scordano le bombe. Nè i morti. O i feriti. Non si dimentica il sangue. Mai. Il dolore si cristallizza. Solidifica. Gli eventi imbevuti di lutti si fondono con la città. Ne diventano patrimoni e corroborano a forgiarne l’identità. Ebbene, ogni dannato 2 agosto la cittadinanza si stringe attorno alle vittime della virulenta barbarie neofascista. Quasi a volerli proteggere, come a dire: ” Il vostro patimento è pure nostro”. Si genera così una corrispondenza unica. Una partecipazione e una fusione struggenti. Si sarebbe portati a credere che questa dovrebbe essere la regola, o quantomeno un esempio. Un archetipo.  Ma non è così. Al contrario. È un caso sparuto e raro. Pressoché unico. In Italia prevale l’oblio. La cultura della negazione. Pare sia stato accettato, tanto tacitamente quanto diffusamente, l’adagio: smemorati si vive più felici. Probabilmente la più parte degli italiani ritiene che la dimenticanza renda più gioiosi. Più allegri. O che giovi alla letizia. Certo, il giorno dell’anniversario i Social Network potranno pullulare di lugubri e retorici peana, ma dopo? Basta girare le piazze e le strade italiane per sincerarsi che ben pochi hanno idea di cosa sia successo il 2 agosto 80. È passata la ricorrenza , oggi 3 agosto cosa resta? Frasi su Facebook colme di retorica, qualche raffazzonato coccodrillo, i vani proclami del politicante di turno e poi? Nulla. O quasi. Resta Bologna. Il suo abbraccio sincero. Il suo affetto autentico. Un legame che perdura da quel terribile giorno.da quei passanti che, per primi, si gettarono nella coltre di fumo e macerie. Spinti da nulla, se non da quello spirito che ancora oggi riempie la piazza della stazione. Si prenda ciò.  La piazza gremita. Il suo esempio. In netta contraddizione con la tendenza a fare tabula rasa del passato. Ricordandoci che la memoria è vita. È insita nel l’essenza stessa dell’esistenza. Solo ciò che non vive non rimembra. Un popolo dimentico del suo passato è, perciò, un malato terminale destinato a morire. Una civiltà suicida che tiene, bene salda tra le mani, l’arma che l’annienterà. L’ignoranza.

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