Jonathan Lethem – L’arresto

by Gianluigi Bodi
Jonathan Lethem

Attendevo il nuovo libro di Jonathan Lethem con una certa impazienza. L’ho sempre considerato uno dei migliori autori americani contemporanei e “L’arresto“, edito da La Nave di Teseo nella collana Oceani, non mi ha fatto cambiare idea, anzi.

Temo che per approfondire bene “L’arresto” sarò costretto a fare alcuni spoiler, non parlerò del finale, ma alcune caratteristiche del libro meritano di essere spiegate e per farlo dovrò svelare alcuni particolari.

Tanto per cominciare mi pare di poter dire che “L’arresto” continui una linea che Lethem ha iniziato a tratteggiare ai tempi di “Amnesia Moon“e “L’inferno comincia nel giardino“. Il terreno è quello delle distopie e la versione delle “fine del mondo così come lo conosciamo” di Lethem è molto interessante.
Ad un certo punto succede che la tecnologia ci abbandona. Non solo i mezzi elettronici, cosa che viene spesso ripresa dalle distopie, ma anche i mezzi meccanici. Le automobili non si muovono, la benzina non fa più il proprio dovere, le persone si muovono a piedi e l’unico altro mezzo per spostarsi sono le merdaciclette il cui carburante vi lascio immaginare. In questo scenario Lethem ci presenta una comunità chiusa. Un luogo ameno in cui ogni abitante ha un lavoro, una funzione. Non c’è scarto, tutto deve essere utilizzato e riutilizzato. Questo luogo è una penisola del Maine (e qui un brivido Kinghiano dovrebbe attraversarvi la schiena) che in qualche modo viene tenuta sotto controllo dalla gente del “Cordone”. A rompere questa monotonia in cui la gente si è ritrovata a vivere come se fosse in una comunità Amish, arriva un’enorme macchina chiamata “Saetta azzurra”, guidata da Peter Todbaum. Todbaum è quindi l’unico essere umano a possedere qualcosa di tecnologico che funzioni, una macchina che va a energia nucleare.

All’interno di questa comunità del Maine abitano, tra gli altri, Alexander Duplessis detto Sandy e la sorella Maddy, una specie di santona della coltivazione biologica che, quasi prevedendo la fine imminente, si era data anima e corpo alla costituzione della comunità in cui lei e il fratello vivono. I rapporti tra Alexander e Mandy non sono buoni e il motivo di questa rottura è proprio Todbaum il quale era, prima che finisse “il mondo come lo conosciamo” un amico di Alexander. Il rapporto di potere tra i tre personaggi principali non è mai del tutto chiaro, molto dipende dalle omissioni che riguardano una certa vacanza al condominio Starlette di cui Mandy non vuole più parlare.

Todbaum compare, come santone, distruggendo un equilibrio precario e portando dentro la comunità segni di quella tecnologia che orami è solo un ricordo. Cosa può comportare l’ingresso di una macchina funzionante all’interno di una struttura che si è ormai riorganizzata sulla sola forza umana?

La Saetta Azzurra attira su di sé lo sguardo di più di un curioso, e se da un lato ci sono quelli che la guardano da lontano con diffidenza, come se fosse la reincarnazione del male, dall’altro attorno a Todbaum si forma un gruppetto di adepti che si ritrova ogni giorno ad ascoltare le sue storie che hanno come soggetto il mondo che sta al di fuori della penisola. Lethem sembra, a tratti, rivisitare in chiave distopica i meccanismi di colonizzazione religiosa. Todbaum presenta alle persone un nuovo Dio meccanico da venerare e lui ne è l’unico sacerdote. Quali sono le reazioni che tale azione può far scaturire? Accettazione del nuovo? Rifiuto passivo? Lotta per scacciare l’usurpatore? Un po’ di tutto, verrebbe da dire.

Ma oltre alla questione legata all’uso della tecnologia e alla fine di essa che, ricordiamolo, non viene mai del tutto spiegata, viene lasciato aleggiare nell’aria, viene presa con rassegnazione da tutti; oltre a questo aspetto ce n’è un altro molto interessante. Ha a che fare con il potere del racconto. Duplessis e Todbaum, durante il soggiorno allo Starlette hanno rafforzato un legame fatto di parole. I due scrivevano, o cercavano, di scrivere sceneggiature e anche se il loro impegno era totale, i risultati erano scarsi. È stato proprio l’intervento di Maddy ha dare una svolta alle loro carriere, l’idea vincete alla base dello script “Un altro mondo ancora” su cui Todbaum sta incessantemente lavorando e al quale dà la colpa, in maniera del tutto irrazionale, di quella che è stata la fine della tecnologia. Ma come ho detto in precedenza, la comunità è bastata sulle persone, ognuna di esse ha un posto ben preciso e un ruolo assegnato. Alexander, che non sa fare nulla, viene messo a consegnare la merce tra le varie zone del territorio. La sua abilità a scrivere è inutile, viene messo in disparte, trattato con condiscendenza anche dalla sorella che lo tiene all’oscuro dei piani finali.
Lethem sembra lasciare al lettore una riflessione sull’importanza del racconto, ma è difficile dare una chiave di lettura univoca perché se da un lato la biblioteca viene lasciata ai margini della comunità, dall’altro uno dei personaggi esiliato al Parco del Fondatore (Jerome Kormentz) sente la necessità di scrivere le proprie memorie prima che sia troppo tardi. Ecco quindi un’opposizione tra chi forse vede nell’atto del raccontare un potere nefasto e chi invece lo considera una fonte di speranza, un antidoto contro l’oblio. Lo stesso arrivo di Todbaum crea un’ulteriore divisione tra chi è disposto a sentirsi raccontare ciò che è rimasto del mondo pur non avendo la certezza di aver ascoltato la verità e chi invece decide di considerare l’arrivo della Saetta Azzurra come quello di un virus da combattere con tutte le armi.

Le tematiche affrontare ne “L’arresto” sono molte, tra le altre, se vogliamo, anche da dicotomia tra mondo tecnologico/moderno e mondo ecologico/antico. In questo senso l’immagine misteriosa e carismatica di Maddy è al centro del contrasto, con Todbaum che sembra dirle che non possono vivere separati, ma devono diventare un tutt’uno.

Alla fine mi sembra di poter dire che Alexander “Sandy” Duplessis sia la nostra presenza all’interno del libro. Il suo ruolo è il nostro ruolo, vediamo lo svolgersi della storia attraverso i suoi occhi e spesso mi sono trovato a farmi le stesse domande che si stava facendo lui dovendo aspettare l’arrivo delle risposte proprio come toccava aspettare a Sandy. Personaggio ignaro degli eventi, forse un po’ ottuso e relegato in un mondo interiore, tenuto a distanza, compatito, preso anche in giro e comunque trattato quasi sempre come un ragazzino immaturo, Sandy è spesso nella stessa posizione in cui ci troviamo noi. Alla fine ciò che scopre lui è ciò che scopriamo noi e le macchie oscure restano tali per lui quanto per noi.

Ottima traduzione di Andrea Silvestri.

Jonathan Lethem è autore di romanzi, saggi, racconti; ha vinto la MacArthur Fellowship e il National Book Critics Circle Award per la narrativa. Collabora, tra gli altri, con “The New Yorker”, “Harper’s Magazine”, “Rolling Stone”, “Esquire” e “The New York Times”. Tra i suoi romanzi pubblicati in Italia: Concerto per archi e canguro (1994), Brooklyn senza madre (1999), La fortezza della solitudine (2003), Il giardino dei dissidenti (2014). Presso La nave di Teseo ha pubblicato Anatomia di un giocatore d’azzardo (2017) e Il Detective selvaggio (2019).

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