Quando in Giappone si vuole indicare una persona che viene dall’estero si usa la parola gaikokujin. Ma quando allo straniero ci si riferisce con pregiudizio, allora si usa il termine gaijin, una “persona esterna”, un estraneo.
Dall’anno 2019 porterò con me alcune letture interessanti, tra le quali posso inserire “Gaijin” di Maximiliano Matayoshi edito da Funambolo Edizioni. In prima battuta posso dire di aver incontrato Funambolo Edizioni per la prima volta con questo libro e di esserne stato particolarmente colpito. La collana Vertigo, di cui questo libro fa parte, ha molte potenzialità e potrebbe rivelarsi come una di quei luoghi letterari da tenere sotto controllo.
Come dicevo, il libro di cui voglio parlare si intitola “Gaijin” ed è stato scritto da Maximiliano Matayoshi. Il motivo per cui mi ci sono avvicinato ha a che fare con il titolo e la copertina. È pur vero che l’abito non fa il monaco, ma un libro che non presenta la minima cura da parte di chi lo pubblica fatica ad ottenere il mio interesse. Ecco perché ho deciso di leggere “Gaijin”, perché ho avuto l’impressione che chi lo aveva pubblicato credesse molto nell’opera.
Il libro racconta la storia di un ragazzino che viene messo su una nave dalla madre, con la speranza che possa trovare fortuna altrove. Il punto di vista è quello del ragazzo che, con dignità estrema – forse mutuata del suo essere giapponese e all’abitudine a non mostrare emozioni – affronta alcune situazioni più grandi di lui. La situazione post bellica in Giappone è grave, il popolo è circondato dalla miseria e deve affrontare il suo essere vulnerabile, in aperta contraddizione con quanto i messaggi di propaganda che provenivano dai piani alti fino ad un attimo prima la clamorosa sconfitta. Ma il Giappone, pur se in ginocchio, è pur sempre un terreno conosciuto e Kitaro, è povero tra i poveri, è uno dei tanti. Il viaggio in nave cambia le cose. Kitaro è costretto a rendersi conto che il suo essere giapponese non conta nulla in senso assoluto; la nave fa scalo Cina e lì i passeggeri vengono insultati e presi a sassate; la nave fa scalo in Africa e qui diventa evidente a Kitaro che anche una cosa semplice come la pelle può fare la differenza e che essere un ragazzino non lo proteggerà dal male del mondo. Tutto questo fino a che la nave attraccherà dall’altra parte del mondo, in Argentina. Qui Kitaro dovrò distruggere anche le sue certezze linguistiche, un altro passo verso una nuova collocazione del sé all’interno del mondo in cui vive.
La scrittura di Matayoshi è una scrittura che fa della pulizia della frase il suo vanto. Lo stile riprende quello della scrittura Giapponese classica, una calma apparente che però, sotto la superficie, sbuffa e si attorciglia per descrivere lo stato d’animo di Kitaro. Il continuo essere messo alla prova e il continuo adattamento ai nuovi schemi, alle nuove conoscenze. Il tutto mescolato con influenze di ritmo e linguistiche dovute al fatto che lo scrittore è nato a Buenos Aires e racconta una storia che molto probabilmente riguarda il passato da cui proviene la sua famiglia.
“Gaijin” è una lettura che consiglio ed è sicuramente un ottimo modo per iniziare a conoscere anche Funambolo Edizioni.
Ottima traduzione di Ilia Pessoa.
Maximiliano Matayoshi è nato a Buenos Aires nel 1979. Organizza workshop fotografici ed espone i propri lavori in mostre e pubblicazioni singole e collettive. Scrive racconti e antologie pubblicati, fra gli altri, da Eudeba, Santillana e Planeta. Gaijin, il suo primo romanzo, ha vinto il premio UNAM-Alfagura nel 2002.