C’è stato un preciso momento in cui un idolo sportivo è diventato un punto di riferimento. Ho ammirato sempre Gianluigi Buffon per le sue straordinarie qualità tecniche, atletiche e per la capacità di leadership che col tempo ha maturato. Fin qui il giudizio sul calciatore, sino a quando il capitano dell’Italia e della Juventus non si confessa apertamente. Ho sofferto di depressione, andavo in campo lo stesso, era la mia valvola di sfogo. Si è aperto un altro mondo, il sipario si è alzato e si è conosciuta la persona. Un uomo sensibile, che entra in un tunnel, lungo, buio, profondo, ma che ne esce grazie alla forza interiore, all’appoggio della famiglia. Ha continuato come se nulla fosse, all’apparenza tutto tranquillo. Anche questa capacità di non rinunciare alla sua vita, chiedendo però aiuto, ha permesso a Buffon di superare questa malattia.
Una malattia, sì, perché questa è la depressione. E non avrei mai immaginato che avrebbe bussato alla mia porta. Ormai sono passati quattro anni. Febbraio 2009. Laurea magistrale. Tutto fatto, tutto pronto. Tesi, anche pallosa a essere sinceri, sul Manzoni e il vero storico. So già che porterò a casa il 110 e lode, perché parto da un punteggio molto alto. Quindi, nessuna tensione per questo. E’ pura formalità. Eppure, sei giorni prima della discussione, inizia l’incubo. Anzi, averne avuti di incubi. Significherebbe aver dormito, quello che non ho fatto per cinque giorni consecutivamente. Una tortura. Sempre con la nausea. Vado da uno psicologo, quasi un nonno per me, che mi cura e mi rimette in piedi. Arriva la discussione, la lode, i festeggiamenti. Tutto a posto. Sembra. Perché l’ansia ricompare subito dopo. E non mi lascia. Una sera, di marzo, vado a correre come sempre. Mi scopro angosciato dal tempo, dalla velocità con cui scorre. Torno a casa e piango. Il giorno dopo avevo in programma una visita dal mio psicologo, gli racconto tutto e scatta subito la procedura d’allarme. La sua esperienza, qualche semplice test, porta subito alla diagnosi: Davide, sei depresso. Pensa e ripensa, il Prof. snocciola la cura. Sono farmaci, secondo alcuni sono droghe. Non mi interessa. Mi fido, ho bisogno di un aiuto, lo ho chiesto. E’ una malattia, la si cura. Anche se si è senza forze, anche se si è una sogliola piatta senza energia, anche se si è svuotati. E’ come se qualcuno avesse rubato l’energia vitale. Vivere, anche se sei morto dentro. Lo cantava Vasco, me lo ripetevo io. Quindi, sono andato avanti con la mia vita. Come ha fatto Buffon. Allenamenti, già allora facevo l’allenatore, radio e ricerca del lavoro.
I farmaci iniziano a fare effetto, ma è la mia forza di volontà a fare la differenza, come l’affetto della famiglia, il calore degli amici. Il soffio vitale torna a gonfiare in me. Piano. Anche perché le ricadute ci sono, lo sapevo. Due, leggere. Ormai sono diventato un esperto, conosco come scalare il dosaggio dei farmaci. Ci vuole un anno per sconfiggerla. Ora la depressione è sconfitta. Io sono cambiato? Non lo so. Di certo ho capito di essere una persona molto forte. Sensibile, anche. E’ come se mi fossi guardato dentro e mi fossi scoperto un po’ diverso da quello che credevo di essere. Sopratutto, ho maturato una consapevolezza: la depressione è una malattia, può essere sconfitta. E’ una malattia, come una bronchite. Non è colpa tua se ti prendi una bronchite, non è colpa tua se sei depresso. Ci si cura, ci si fa aiutare. Il sole poi torna a splendere. La notte passa, quando ritorna la luce è come assistere per la prima volta all’alba.