Vedete, io non lo so come li prendete voi i libri che leggete, io cerco sempre di trovare una metafora all’esperienza di lettura. Non me lo ha prescritto il medico, è un vezzo mio, un difetto, se volete.

Nel caso di “Lamb” di Bonnie Nadzam mi sono sentito come se mi fosse entrato in casa un individuo che non conosco, come se questo individuo si fosse seduto al mio tavolo e prima di iniziare a parlarmi avesse appoggiato un coltello bello tagliente davanti a se. Ora, non è detto che quel coltello venga usato, ma c’è, e per il solo fatto di esserci produce angoscia.

Leggere Lamb è stata un’angoscia lunga 264 pagine.

Lettura meravigliosa. A David Lamb muore il padre. Non abbiamo tanto spazio per capire i loro rapporti, ma non devono essere stati idilliaci. Cosa produce questo evento nella vita di David? Produce un rapimento. Lamb fa la conoscenza di una ragazzina undicenne che risponde al nome di Tommie e la convince a seguirlo in un viaggio che ha le montagna come meta finale. Le promette di riportarla indietro dopo una settimana e lei accetta.

Questa la trama. E già qui credo che un minimo di angoscia, se non siete esseri robotici, avrà fatto capolino.

Ricordate il coltello? Bonnie Nadzam lo ha appena appoggiato al tavolino e sorridente vi racconta di questo viaggio, vi racconta David e Tommie, vi racconta tutti gli imprevisti, gli sbalzi di umore della bambina e del suo rapitore. Non è mica detto che quel coltello alla fine lo usi e non ha nemmeno importanza. Sia che capitino cose terribili, sia che finisca con il ritorno a casa della bambina dopo quella che lei potrebbe considerare come una vacanza, il risultato, per noi, non cambia. Abbia la visione angosciante del coltello. Quello che capita alla fine del libro lo lascio scoprire a voi, ma sappiate che quello di Bonnie Nadzam è un libro davvero molto bello. Scritto con maestria, tenuto sul filo della tensione e da godere fino all’ultima riga.

In quarta di copertina si fa riferimento a Nabokov, si scrive che Lolita ha incontrato il XXI Secolo. Ecco, io non sono nessuno per dire quando un lancio è azzeccato o no, però in questo caso dico la mia. Lasciate stare Nabokov, leggete “Lamb” con innocenza assoluta, lasciatevi trasportare dalla bravura di Bonnie Nadzam. Non ve ne pentirete.

Black Coffee è una sferzata di energia all’interno di una casa editrice, Clichy, che già ne aveva da vendere. L’innesto di questa collana a mio parere fa innalzare le quotazione di questo editore.

La traduzione è di Leonardo Taiuti che è pure uno dei due responsabili della nascita di Black Coffee (l’altra è Sara Reggiani che aveva tradotto l’altrettanto bello “Last days of California”). Leonardo a mio parere riesce a mantenere inalterata la tensione del testo, soprattutto nella traduzione dei dialoghi.

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Bonnie Nadzam è nata a Cleveland, Ohio. I suoi scritti sono comparsi su numerose e importanti riviste. Lamb le è valso il premio Flaherty-Dunnan Prize per il miglior debutto del 2011. Ha insegnato per due anni scrittura creativa al Colorado College e attualmente vive con il marito sulle Montagne Rocciose.
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