Ci siamo, mancano solo due giorni al cenone della vigilia di Natale e tutto, me compreso, hanno una voglia matta di mangiare tutto quello che c’è sulla tavola. Inutile nascondervi dietro l’albero illuminato, non vedete l’ora di sedere al tavolo e inghiottirvi di qualsiasi prelibatezza, tanto è…Natale. Però, se in Italia ci sono delle usanze, che conosciamo più o meno tutti, all’estero, la sera prima della Santa festività mica è tranquilla. In Slovacchia e Ucraina, infatti, di solito viene preparata la Loksa. La Loksa dovrebbe essere, il condizionale è obbligatorio, un classico liquore composto con ingredienti molti forti, ma allo stesso tempo genuini. La preparazione ve la evito, mica sono uno chef (sto scherzando…) ma, in compenso, vi racconto della strana usanza nei Paesi citati poc’anzi. Il capofamiglia, pochi minuti prima della cena, riempie un cucchiaio di Loksa che verrà lanciato agli altri commensali, “costretti” a rimanere fermi ai propri posti. Chi “riceve” più liquido, avrà molta fortuna in vista del nuovo anno. Sarà necessario? Il sottoscritto, intanto, vuole augurarvi un Felice Natale, senza loksa, in modo da risentirci prima della fine dell’anno. Tanti auguri.
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“Rimandiamoli a casa: questi ci rubano i mariti e tolgono lavoro ai nostri figli. Arrivano qui e s’impadroniscono di tutto.”
Non è questo un pensiero condiviso da molti?
Eppure, Vera, non aveva mica in testa l’idea di far qualcosa del genere, il 25 Dicembre 2003, quando è arrivata in Italia.
Era Natale,esattamente il giorno di Natale, il primo Natale che ha trascorso lontana dalle sue bambine, dalla sua città. Quale regalo si sarebbe potuta aspettare una che non ce l’ha neppure un albero di Natale?
Nessun augurio, nessun telefono con il quale tenersi in contatto con le sue piccole. Nessun piano, nessuna certezza. Nel cuore solo l’idea di dare alle sue figlie la possibilità di sopravvivere e realizzarsi.
Neanche una, Vera lo giurerebbe, delle cinquanta persone presenti sul pullman partito quattro giorni prima da Minsk, pensava di rubare qualcosa a qualcuno o qualcuno a qualcun altro.
Nessun pensiero del genere nel momento in cui le è stato concesso il visto Schengen per l’Italia per quindici giorni: solo pane e disperazione, angoscia, impossibilità di far altro perché, a quarant’anni, o forse prima, e con un matrimonio fallito alle spalle, in Bielorussia sei vecchia, non servi e un lavoro per te non si trova, non esiste, è l’oasi nel deserto.
Se ti ritrovi, in aggiunta a tutto ciò, un marito che si ubriaca e pensa a tutto tranne che a garantire il minimo indispensabile a te e alle tue figlie e, nel frattempo, un’amica che, dall’Italia, ti offre un lavoro, Tu non puoi far altro: Tu raccogli quelle poche cose che pensi potranno servirti e parti.
Tu non ce la puoi fare, ma ce la fai.
Poco importa se ti ritrovi da sola a mezzanotte nella stazione di Napoli ed un tizio ti dice “Benvenuta nell’inferno”, tanto Tu l’italiano non lo conosci. Ti sembra a mala pena di ricordare il significato di quelle quindici paroline che hai trascritto sul foglio che hai inserito nel vocabolario russo-italiano che tieni sotto il braccio.
Poco importa se un tassista al quale chiedi di portarti dalla stazione di Napoli a quella di Caserta ti strappa dalle mani duecento euro. Non puoi farci nulla, Tu.
Non sei altro che una giovane donna salita in macchina con due uomini ed un foglio con su scritto: “Devo arrivare a Catanzaro”.
E così sali in quel taxi temendo che ti ammazzino o facciano chissà cosa. E la tua unica arma di difesa è dire: “Mio amico italiano”: Tu non sei che una che è appena arrivata, in Italia, per sottrarre lavoro agli italiani e rubare un marito a chissà chi.
Non è rilevante se riesci ad arrivare a Catanzaro, se ti prendi cura di due gemelli di quindici giorni, se rassetti una casa di quattro piani per ventiquattro ore al giorno guadagnando quattrocento euro dai quali ne sottrai venti per comprare qualcosa da mangiare e la cui rimanente parte mandi alle tue figlie che hai lasciato a casa con il tuo ex marito che, tra l’altro, arriva a questi soldi prima di loro.
E nel contempo ti prendi cura di questi bambini con così tanto amore che questi chiamano te, “mamma”, prima che la loro, suscitando addirittura la gelosia di quest’ultima.
Perché, se Tu poi conosci un uomo che ti fa sorridere di nuovo, anche se con un sorriso amaro perché sei lontano dal tuo sole; perché, se Tu con questo ricostruisci una tua famiglia e decidi di dare alla luce un altro figlio, Tu sei comunque uno che ha secondi fini. Non è forse così?
Proprio perché è questo quello che pensiamo, secondo il nostro modo di vedere le cose, per noi bielorussi, ucraini e russi sono aggettivi diversi che identificano lo stesso genere di individui. E ne parliamo con pressapochismo, come se fossero diverse varietà della medesima pianta: poche differenze nell’aspetto ma un’unica essenza.
Secondo la stessa logica, coloro che provengono dai paesi del Medio Oriente o dell’Africa settentrionale sono considerati tutti musulmani. Il fatto che in realtà appartengano a paesi arabi e non musulmani ci appare poco rilevante perché non ci interessa sapere che questi sono accomunati dalla lingua araba e non dalla religione musulmana, poichè alcuni paesi e territori arabi comprendono significative minoranze cristiane o di altre religioni e perché ci sono paesi islamici che non sono arabi.
Oggi, i media, diffondono notizie ‘di tendenza’ con l’unico scopo di fare audience: veniamo informati di sbarchi di uomini, donne e bambini attraverso il linguaggio con il quale si potrebbe descrivere l’invasione di un esercito. Si annodano i fili di storie di eroi come se fossero degli insignificanti punti al di là di una linea di confine.
Sì, sono loro ad essere veri eroi, gli eroi di quest’oggi. Ecco i veri vincitori di una lotta all’ultimo respiro vitale della quale non conosciamo nulla e che giudichiamo senza dargli un valore, anzi, sottraendoglielo.
Così, se attualmente è di moda parlare della guerra in Siria, perché si dovrebbe discutere di quella civile in Ucraina e del fatto che, secondo indiscrezioni occidentali, a causarla sarebbero i separatisti che avrebbero aperto il fuoco con un sistema missilistico terra-aria fornito loro dalla Russia?
Russia e Ucraina sono la stessa cosa nel nostro immaginario, e, mentre la prima lancia una nuova sfida facendo sapere che invierà un secondo convoglio di aiuti in Ucraina seguendo «la stessa rotta e gli stessi parametri» di quello già inviato nei giorni scorsi nell’est del paese nonostante la condanna della comunità internazionale e il no del governo di Kiev che aveva parlato di «un’invasione diretta», il presidente ucraino Petro Poroshenko si è impegnato a investire 2,2 miliardi di euro per il riarmo e il rilancio delle forze armate malgrado il collasso economico che minaccia il Paese.
E ancora, nello stesso tempo, in una conferenza stampa a Mosca, Lavrov, Ministro degli Affari Esteri russo ha parlato della sfilata dei prigionieri ucraini organizzata domenica a Donetsk dai separatisi asserendo di non aver visto niente che possa essere considerato una «umiliazione».
E in risposta a ciò la Nato conferma che la Russia non è stata invitata al summit in Galles in programma il 4 e 5 settembre.
Ma questo, sinceramente, non mi sembra abbastanza.
Non mi sembra sufficientemente coerente l’azione-reazione di paesi che si oppongono alla guerra entrando in guerra, che occupano paesi per ridargli l’indipendenza, che inviano aiuti umanitari in condizioni di emergenza e che non fanno nulla per aiutare queste regioni a creare un loro modello di sviluppo endogeno.
E intanto quei giornalisti che osano denunciare spariscono, perché chi esce dal coro, chi osa, è additato, ostacolato, eliminato.
E, allo stesso modo, i canali russi vengono chiusi e nessuno sa niente.
Pertanto, così come non ha senso raccontare che, la cugina della nostra Vera, che vive a Godno, in Bielorussia, ha accolto in casa sua una mamma con i suoi due figli piccoli con addosso solo una magliettina, scappati dall’Ucraina e in viaggio da cinque giorni, allo stesso modo potrebbe sembrare un racconto di secondo piano la vicenda delle tre famiglie a cui, la figlia di Vera, ormai laureata, ha aiutato a trovare una sistemazione.
Perché della Bielorussia in quanto paese che accoglie non occorre parlarne, vero?
Perché Vera è stata lontana dalle sue figlie sapendo di loro quanto è possibile inglobare in una corrispondenza epistolare intrattenuta una volta al mese per soddisfare un capriccio, giusto?
E, mentre si celebra il festival degli stereotipi, non ha senso parlare di empatia culturale o etnoculturale, della sua componente comunicativa e del dovere del singolo di informarsi, conoscere ed accettare senza trincerarsi in una posizione di rigida presunzione di superiorità.
Ma, ove questa sensibilità intrinseca manchi, non occorre porre la fine della speranza ma urge trovare un nuovo fiore da farvi rifiorire per caricare, di un senso nuovo, ciò che il suo, l’ha perduto.
A cura di: Graziano Carugo Campi
Tutti i media parlano oggi della crisi tra Russia e Ucraina. Vediamo quali sono i punti cardine di questa crisi:
1 – Il debito Ucraino.
L’Ucraina deve 1,8 miliardi di dollari a Gazprom, ente che si occupa di fornire gas al paese ex sovietico (e a mezza Europa). L’Ucraina non vuol pagare, o meglio non può pagare, perchè di fatto è quasi in default: nel biennio 2014-2015 servono 35 miliardi di dollari di aiuti per sopravvivere (e manovre correttive pesantissime).
2 – I Rapporti con la Russia
Gazprom vende all’Ucraina gas “scontato” del 30%. Da poco è stato congelato un prestito da 15 miliardi di dollari, concordato a dicembre, che avrebbe permesso un minimo di stabilità economica a Kiev. Una dipendenza sostanziale, a cui si aggiunge il fatto che Mosca è il principale mercato di sbocco dei prodotti Ucraini.
3 – I rapporti con l’Europa
L’Unione Europea non può permettersi di accogliere una nazione praticamente in default, avendo già faticato a resistere alla crisi di paesi come Italia, Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda. Un “piano Grecia”, imposto a una nazione che nell’UE non è ancora entrata è praticamente il viatico per un “no” plebiscitario all’Unione.
4 – I rapporti con gli USA
Un quarto del debito pubblico Ucraino è in mano a società di investimenti americane. Fin dal dissolvimento dell’Unione Sovietica, Kiev e Washington hanno iniziato a flirtare, con gli americani desiderosi di avere un alleato alle porte di Mosca e gli ucraini pronti ad usare queste lusinghe per “ammorbidire” le pretese russe in campo economico. Sono documentati sin dalla rivoluzione arancione del 2003-2004 i rapporti stretti tra USA e i gruppi Ucraini contrari agli accordi con la Russia.
5 – Il Fondo Monetario Internazionale
Chi tiene i cordoni della borsa, ha promesso 4 miliardi di dollari (contro i 15 russi) in cambio del raddoppio del prezzo del gas e dell’elettricità per l’industria e le case, della rimozione del divieto alla privatizzazione dei terreni agricoli, di una profonda revisione delle partecipazioni statali, di una svalutazione della moneta e di tagli all’assistenza sanitaria. Una manovra lacrime e sangue che non porta benefici alla popolazione già in rivolta per i pesanti tagli che si trova ad affrontare oggi.
6 – La rivoluzione Ucraina
In Ucraina non è la prima volta che le rivolte di piazza portano a un cambio di governo. I risultati sono sempre stati poco soddisfacenti, con corruzione e malgoverno che ha sempre visto cambiare i protagonisti, mantenendo sempre lo stesso copione. Una democrazia non è tale se passa dalla piazza e non da libere elezioni. Una democrazia non è tale, se non è economicamente sostenibile.
7 – La Crimea
La Crimea non è Ucraina. Fu Nikita Kruscev a trasferire la regione russa in seno alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, nel 1954, nonostante questa non avesse legami storici con Kiev. Oggi il 60% della popolazione è di origine russa e solo il 25% è di origine Ucraina.
Difficile prendere una posizione in tutto questo. L’espansionismo russo, la guerra fredda, i ricordi di un’Europa tremolante di fronte ai deliri espansionistici di Hitler, la deriva fascista del governo Ucraino, l’economia che stritola i popoli… E’ tutto molto più complicato di quello che si può credere, o forse è tutto più semplice: mentre in Europa Occidentale pensavamo alle stringhe arcobaleno da indossare durante le olimpiadi invernali di Sochi, in Russia si preparava l’annessione della Crimea, giusto al termine dei giochi olimpici, mentre in Ucraina la gente moriva in piazza, per combattere contro un sistema economico che li aveva ormai strangolati.
Queste sono le tre facce di questa guerra: un paese disposto a combattere per dominare, un popolo costretto a combattere per sopravvivere, e un paio di stringhe arcobaleno da esibire su Instagram.