Ho sempre apprezzato le persone intellettualmente oneste, gli individui che dicono ciò che pensano, nella totale e assoluta sincerità. E’ una questione di rispetto nei confronti del tuo interlocutore: quando gli parli in verità lo tratti come te, nonostante la verità possa essere scomoda. Insomma, si instaura una relazione fondata sull’uguaglianza, perchè si è sinceri. Spesso la sincerità viene minata dalla incoerenza, che è la madre di tutti i mali, discorsivamente parlando. Lo vediamo nelle questioni di tutti i giorni, nelle vicende politiche, nelle discussioni calcistiche, da bar e non. Tanto per dirne una, non capisco perchè una legge sulla ineleggibilità debba essere considerata obsoleta solo perchè nata nel 1957, quando invece la Costituzione ha circa dieci anni in più, quando invece il nostro sistema penale si fonda sul codice Rocco degli anni ’30. Non capisco come un ministro, quindi un membro dell’esecutivo, possa protestare contro la magistratura: cioè un esponente di un ramo dello Stato che protesta contro un altro ramo dello Stato. Lo Stato contro se stesso: c’è da piangere, non da ridere. Questi sono solo alcuni esempi delle tipica incoerenza/convenienza che riscontriamo nella dialettica, in questo caso politica. Si potrebbe continuare all’infinito: molti dicono che la Costituzione sia da rinnovare, ad esempio nella parte in cui parla dell’assetto istituzionale del nostro sistema. Ma nessuno dice che la Costituzione va rivista in quei due articoletti che ci illustrano l’immunità parlamentare, o magari anche negli artt. 7 e 8 che ci parlano dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Cattolica, e le altre confessioni religiose. Anche nel calcio, ad esempio, c’è una diversità di punti di vista che varia in base alla convenienza: le recenti dichiarazioni di un pentito che accusa Balotelli di aver spacciato droga sono ritenute infondate (anche io la penso così, perchè le dichiarazioni di qualsiasi soggetto vanno prima riscontrate, per bene), mentre quelle di Pippo Carobbio, che aveva accusato Conte nel calcioscommesse, hanno rappresentato il Verbo. Sono solo degli esempi, ed è chiaro che non ne faccio una questione di colori, anzi il mio intento è proprio quello di sottolineare che spesso, in base ai colori, si perde la lucidità nel ragionare. Quando facciamo parte di uno schieramento tendiamo a conformarci a ciò che dicono gli altri: un pò come fa chi sostiene la politica di partito e che, anche se non condivide in tutto le strategie di chi comanda, è costretto a conformarsi. Fino a un certo punto si potrebbe anche accettare, ma non fino al punto di umiliare la propria soggettività, il proprio modo di pensare, la propria libertà di esprimersi. E’ davvero brutto vedere che molti individui cambiano opinione solo in base al colore: così facendo diventiamo un gregge, limitiamo il nostro pensiero e ci facciamo inghiottire dalla massa. Ed è ancora più brutto sottolineare che questa incoerenza provenga da personaggi pubblici: politici, sportivi, giornalisti. Per questi ultimi poi ci sarebbe da fare un discorso a parte, e sul quale forse tornerò: basti pensare che una delle regole più importanti, quando si parla a un pubblico, è quella di essere sempre obiettivi. Soprattutto quando fai informazione. Perchè l’informazione oggi è un valore, e non deve mai essere manipolata, nemmeno da stupide simpatie/antipatie individuali.
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Un alieno precipitato per sbaglio sul pianeta-Italia, interessato ad approfondire le dinamiche comunicative dei nostri mass media, sarebbe probabilmente ripartito per il suo pianeta con le idee più chiare e confuse al tempo stesso dopo una rapida rassegna stampa del giorno dopo lo scudetto della Juventus. Che la nostra stampa non goda di ottima salute è certificato dai numeri (in calo costante) di copie vendute, abbonati e affini, e dalle classifiche internazionali. Non si tratta di istruire un processo per nessuno. Ma le tre prime pagine dei tre quotidiani sportivi nazionali sono lo specchio della melma in cui siamo caduti trascinandoci dietro (o facendosi trascinare) lo sport più bello del mondo.
Quanti sono gli scudetti della Juve? Sono 29 o 31? Tema da aule di Tribunali fino a sentenza definitive e da bar sport poi ovunque tranne che da noi. Adesso anche tema da studiosi di comunicazione. Perché tre direttori sono riusciti nell’impresa di coprire tutto l’arco delle possibilità. Così per non disturbare la suscettibilità dei loro lettori.
Scontato il ‘Juve 31’ di Tuttosport che ha fatto delle rivendicazioni bianconere una battaglia anche territoriale. Meno il ’29° scudetto’ nascosto dalla Gazzetta dello Sport in un passaggio del catenaccio, così per non disturbare. Surreale la censura del Corriere dello Sport. Meglio non prendere posizione. Quanti sono gli scudetti della Juve? Né 29, né 31. Semplicemente ‘scudetto bis’ e tanti saluti.
Il lettore è sacro e, soprattutto, paga. Dunque è regola basilare evitare di infilargli un dito nell’occhio spiegandogli se e perché sono 29 o 31. Qualcuno potrebbe obiettare che ci sono sentenze che parlano chiaro o che vanno interpretate. Altri che, in fondo, la stampa è bella perché è libera di scrivere quello che vuole.
L’alieno atterrato se ne sarebbe andato con il suo malloppo di giornali sotto braccio a meditare sull’anomalia tutta italiana. Si sarebbe consolato pensando che in fondo lo sport non è nemmeno l’esempio peggiore dei nostri limiti e che chi si è occupato in questi anni di crisi finanziaria, bond-patacca e bolle speculative ha fatto ancora di peggio per servire il padrone che lo pagava.