Paratesto:
La sovracopertina mi ricorda qualcosa di buono, mi ricorda i sacchetti del pane di una volta e mi ricorda con che gioia (io che sono sempre stato un goloso di pane) aspettavo che mia madre ne tirasse fuori il contenuto. Ora che sono diventato un goloso di letteratura, l’effetto è lo stesso. Prendere in mano questo libro ed aprirlo è un po’ come scartare un pacco regalo. E in un pacco regalo, ciò che ci fa rimanere a bocca aperta è la sorpresa.
Testo:
Ti accorgi subito, dopo poche righe, di non essere di fronte al solito romanzo che pretende di raccontarti una storia in maniera lineare, che magari costruisce le sue fortune sul colpo di scena eclatante che nessuno si aspettava che potesse arrivare, tranne evidentemente l’autore.
“Cacciatori di frodo” non è niente di tutto questo. E credetemi se vi dico che è una settimana che mi gironzolano per la testa metafore a ripetizione per cercare di descrivervelo.
Andiamo per ordine.
I libro l’ha scritto Alessandro Cinquegrani e si porta appresso il pesante fardello di una finale al Premio Calvino 2010. Dico pesante perché, negli ultimi tempi, ho imparato a capire che dal Premio Calvino passa buona parte dell’ottima letteratura di casa nostra. Quindi, se pensate che gli autori italiani siano tutti morti, il Premio Calvino potrebbe essere il primo luogo da frequentare per capire che le cose non stanno proprio così.
Capirete quindi che con un simile lasciapassare io mi aspettassi molto da questo libro.
E per fortuna non ne sono stato tradito, le mie aspettative sono state superate di gran lunga dalla realtà.
“Cacciatori di frodo” racconta una storia, una storia che prende vita nel florido nordest, il nordest della cultura del lavoro e dei soldi. Nella provincia di Treviso, una provincia d’arte e anche un po’ di snob. Ed è una storia che gira attorno ad un inceneritore, simbolo di tutto quello che si possa bruciare in nome del consumismo.
Pensavo di raccontarvi la trama, di parlarvi di Augusto, la moglie Elisa, il piccolo Daniele, Cesare il fratello gemello di Augusto e i genitori di questi due. Ma non serve. O meglio, se devo parlare di qualcosa di bello, meglio che parli della miglior cosa che si possa trovare in questo libro. La scrittura.
La scrittura, in questo libro, è meravigliosa. E’ ricorsiva, procede per accumulo, ritorna su se stessa e si nutre di se stessa, si mangia e si digerisce ogni volta sempre simile alla volta precedente eppure sempre un po’ più diversa. La trama aderisce perfettamente a questa scrittura. Cinquegrani ci accompagna in una camminata di dodici chilometri che Augusto è costretto a fare tutte le mattine per andare a recuperare la moglie che, distesa sui binari, aspetta invano che un treno arrivi e le faccia rotolare la testa sull’argine del Piave. Lentamente, entriamo in contatto con i pensieri di Augusto, pensieri che lo accompagnano durante tutta la passeggiata mattutina e che a noi svelano come si è svolta la sua vita. Ci svelano senza fronzoli le sofferenze al quale ha dovuto far fronte.
Un ritmo costante, cadenzato, di quella ritmica che hanno i treni che viaggiano sui binari, un ritmo ipnotico che diventa a tratti quasi un mantra, il mantra che si ripete Augusto durante i dodici chilometri che percorre ogni santo giorno per andare a riprendersi Elisa.
Lo stile che Cinquegrani ha scelto per raccontare la storia di Augusto e famiglia ha il potere di farti accomodare all’interno dei pensieri di Augusto. Dopo qualche pagina ci sembra di essere testimoni della lotta interiore di un uomo e dell’articolarsi dei suoi pensieri.
Coordinate:
Alessandro Cinquegrani è un ricercatore dell’università Ca’Foscari di Venezia. Come già accennato “Cacciatori di frodo” ha avuto una menzione al Premio Calvino 2009 ed è, secondo chi scrive, uno di quei libri che mostrano quando sta bollendo sotto la superficie del panorama editoriale italiano. Attualmente è la sua unica opera di narrativa pubblicata, in quanto ricercatore universitario troverete parecchi suoi lavori. Ma come mi ha confessato davanti ad un caffè, pubblicare qualcosa di completamente tuo è tutta un’altra cosa.
Il libro è edito dalla casa editrice torinese Miraggi edizioni. Aldilà dei ringraziamenti che si devono fare nei casi, come questo, in cui un piccolo editore che lega la propria sopravvivenza alle dinamiche economiche e si prende il rischio di pubblicare un autore sconosciuto con un libro assolutamente non banale, va detto che il catalogo di Miraggi ha parecchie frecce al suo arco. Speriamo di poter parlare di qualche altra loro pubblicazione in un futuro prossimo.