Più cerco, più leggo, più prendo informazioni e più sembro uno stupido caduto sulla terra. Ok, adesso penserete che io sia stupido già di mio (ammettetelo se avete pensato questo), ma poco importa, qui si deve parlare delle strane tendenze del mondo, mica di quello che fa il sottoscritto in un umido venerdì sera. Parlo del Viso-kini, ho deciso. Appena ho proferito parola alla mia santa nonna, quest’ultima ha esclamato “Che è sto viso-kini?”. La mia risposta? “Tranquilla nonna, non è mica l’ammorbidente che hai comprato al supermercato in offerta”. Beh, non ha tutti i torti anche perchè nessuno dei comuni mortali italiani conosce il significato del sostantivo citato poc’anzi. Ok, vi spiego io il tutto: in Cina l’abbronzatura non è ben vista, con i cittadini (non tutti eh) che preferiscono indossare una maschera per non incappare in bruciature. La carnagione scura, infatti, è sinonimo di lavori manuali (e cosa ci sarebbe di male?). Certamente una tendenza che, al sottoscritto, non piace. Non so a voi.
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La chiamavano “Nek Nomination” e già stava spopolando in tutto il mondo. La “nomination alcolica”, da alcuni chiamata così, è un gioco pericoloso che stava aumentando gli apprezzamenti a dismisura sui social network. Le regole erano queste: un vostro amico iscritto su Facebook veniva immortalato mentre beve, tutto d’un fiato, una bottiglia di birra o di alcolici (uno può arrivare fino a 1 litro e mezzo) nominando successivamente altri tre suoi amici che dovevano tracannare, entro un giorno dopo il tag, la stessa quantità della bevanda. Se i nominati si astenevano dal giocare, o non riuscivano a sorbire l’alcool, erano costretti a pagare pegno. Un gioco nato nella lontana Australia (il nome Nek Nomination sta a significare, in un certo senso, la parte superiore della bottiglia della birra o degli alcolici) che ha scatenato diverse reazioni polemiche in tutto il mondo. Nella nostra Nazione, dove la sfida è diventata famosa dal mese di gennaio, si sono contati vari episodi poco felici: in Sicilia, un ragazzo è stato ricoverato immediatamente perché entrato in coma etilico.
Nel resto del mondo, purtroppo, molti morti accertati per dei cocktail che prevedono anche un mix di alimenti per cani e gin, tanto per citare uno squallido esempio. In una collettività sempre più martoriata da problemi, si è pensato bene di immettere questa delirante tendenza che sta provocando vittime e non solo. Ormai c’è il bisogno di farsi notare sui vari social, di sentirsi adulti e di emulare questo o quell’altro. Ma non solo. Per non rimanere indietro con i tempi perché anche nel 2014 chi non partecipa alla novità attuale è considerato uno “sfigato”. C’è la necessità di un cambiamento in positivo, a cominciare da queste piccole cose, a eliminare episodi che con la vita umana c’entrano pochissimo. Si può vivere in una società migliore con il dialogo, con la voglia di mettere in gioco le proprie qualità per cose serie. Non è difficile. Si potrebbe iniziare cercando di non emulare questi giochi squallidi, che ne dite? A distanza di mesi, la situazione pare migliorata.
Bene, il gesto di Dani Alves che mangia una banana lanciata dagli spalti dello stadio “Madrigal” durante Villarreal-Barcellona è di un’intelligenza fuori dal comune. Un episodio di razzismo zittito con nonchalance (non voglio parlare della presunta trovata pubblicitaria), che ha messo, però, in moto la macchina dei selfie contro una “concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la ‘purezza’ e il predominio della ‘razza superiore”. Da Martin Luther King a Nelson Mandela, i più grandi personaggi della storia mondiale (e non solo) si sono battuti per debellare una piaga mai estinta. Il gesto di autoscattare una foto con una banana, che da lì a poco sarà mangiata, è divenuto, come ormai avviene nel nuovo millennio, un pretesto per lanciare una “moda” del momento. Da circa due settimane il web è invaso da foto quasi uguali, che hanno come minimo comun denominatore il frutto dal colore giallo.
Dai bambini, agli adulti, passando per gli anziani e i “vip” del globo, tutti “posano” per dire no al razzismo. E’ strano, tuttavia, come l’anziana donna che detesta gli stranieri del nostro Paese, possa fotografare l’amica del cuore o il suo viso con il già citato prodotto, tra le altre cose, ricco di potassio. E allora perché tutto questo? Semplice, anche una piega sociale molto grave viene “sfruttata” per avere più “mi piace” su Facebook, una manciata di “preferiti” su Twitter e così via. La popolazione mondiale è ormai in mano ai social network, dunque è normale affrontare dei grattacapi con uno spirito che negli anni scorsi, certamente, non esisteva nella mente di ogni singolo cittadino. L’altra verità è rappresentata da un ormai dilagante falso buonismo in giro per le strade, nei bar, negli uffici, nei luoghi di lavoro, che si mescola con l’ipocrisia. Dunque, smettiamola con delle foto che ormai hanno stancato e combattiamo in maniera unita il fenomeno razziale con azioni efficaci.
A casa, per strada, sotto la doccia, dove vi pare, ma ciò che andrò a scrivere tra poco è un’azione che tutti, o quasi, fanno durante la giornata. No, non si tratta di questioni meramente amorose, anche perché siamo in fascia protetta e non intendo minimamente rischiare una tiratina d’orecchie da parte di qualcuno, ma del “fischiettio” di una canzone qualunque. Un gesto ormai automatico quando ascoltiamo una “song” (usando il linguaggio dei teenager) alla radio, che ci accompagna per le ore seguenti. Una volta, c’è da ricordarlo, non esistevano le applicazioni degli smartphone che ti facevano, immediatamente, conoscere il titolo del brano in questione. C’erano i motivetti, cantati in un inglese più o meno maccheronico (quando si trattava di canzoni che non avevano a che fare con la lingua italiana) che venivano memorizzati nella mente, con la speranza di poterli riascoltare nel più breve tempo possibile. Adesso, in quest’ultimo periodo, la canzone che sta avendo successo in qualunque parte del mondo, anche quella invisibile ai nostri occhi, risponde al titolo di “Happy”.
Ma si, quella cantata da Pharrell Williams, noto artista statunitense, che ha pensato bene di “creare” una melodia fantastica per tutti i suoi fan e non solo. Già il titolo fa pensare a una cosa bella, che possa illuminare la giornata nella quale i problemi si susseguono ora dopo ora. Una sorta di “leggerezza” quotidiana che sta spopolando in tutto il pianeta, come detto pocanzi, con risultati eccezionali. “Happy” è divenuto l’inno alla felicità per tutti, dal bambino di 6 anni all’anziano di 99 che, magari, muove il suo bastone a ritmo di festa. Ma il video ufficiale, che in rete vanta più di 150 milioni di visualizzazioni, sta creando (e ha creato) effetti inimmaginabili grazie a migliaia di corti girati per le varie città del globo terrestre. In Italia, come tutti possono notare, l’hashtag usato è “#happy” seguito dal nome della città in cui viene girato il video. Il bello di tutto questo è che sono tutti protagonisti, con normali cittadini “impegnati” a ballare senza limiti anche per beneficenza. Pharrel Williams, infatti, lo scorso 20 marzo, in occasione della “Giornata mondiale della felicità”, ha pensato bene di scegliere i migliori video girati per ricordare a tutti l’importanza di sorridere anche nei momenti meno belli della vita. Inoltre ha voluto rammentare, ancora una volta, che tutti devono vivere felicemente, magari con in testa il motivetto di “Happy”. Che dire, voi non la ballate?
Da agosto 2013 è divenuto il fenomeno che sta spopolando in ogni parte del mondo, con migliaia e migliaia di scatti che rappresentano a pieno l’attuale momento che sta attraversando il globo terrestre. Si, sto parlando dei selfie, in lingua italiana chiamati autoritratti fotografici in virtù dell’uso di palmari, fotocamere digitali e telefoni cellulari di ultima generazione. Non tutti sanno che il termine citato pocanzi è nato nel 2005, evolvendosi con l’innesto di smartphone e social network, come Facebook, Twitter, Instagram, che hanno fatto accrescere l’interesse della popolazione mondiale nei confronti dello scatto fatto “ad personam”. Addirittura lo scorso anno il celebre Museum of Modern Art ha presentato una mostra soprannominata “Art in Translation” nella quale migliaia di visitatori usufruivano di una fotocamera per immortalare se stessi in uno specchio dalle grandi dimensioni. Il selfie, oramai, ha contagiato anche i personaggi famosi dello spettacolo. Come non citare Ellen Degeneres, conduttrice dell’ultima notte degli Oscar, brava a voler a tutti i costi un super-selfie con delle star di Hollywood come Brad Pitt, Angelina Jolie, Meryl Streep, Julia Roberts e Kevin Spacey. La foto ha ricevuto, in pochi giorni, la bellezza di oltre 2 milioni di click, superando di tanto l’autoscatto di Barack Obama, fermo a quota 800mila condivisioni.
Ma non solo vip, anche nella vita reale siamo accerchiati da foto scattate in ogni luogo. In qualunque stanza di una casa, all’aperto, al parco, il selfie è come un figlio nato da poco ma a cui tutti vogliono un gran bene. Ma i selfie perché esistono, perché sono diventati famosi in poco tempo? Domande a cui nessuno, forse, ha mai pensato, anche perché, parliamoci chiaro, non è un grosso problema per l’umanità. Gli autoscatti esistono, secondo me, in virtù di una tendenza sempre più frequente di mettersi in mostra. Tendiamo a fotografare la nostra vita, ogni singolo secondo della nostra esistenza per attirare l’attenzione di chi naviga su internet. A volte non è un bene fotografarsi in bagno, ad esempio, con le labbra socchiuse come una sorta di canotto in balia delle onde. Oppure è altrettanto sbagliato, sempre stando al mio parere, scattare foto a cani, gatti e altri animali, ignari di quello che il padrone, o qualcun altro, sta per fare. E’ egocentrismo vero e proprio, che porta alla ribalta il dovere di far parlare di se stessi in un momento qualunque di una normalissima giornata quotidiana che, secondo i canoni moderni, deve contenere sempre e comunque uno scatto fotografico. Anche io, non lo nascondo, fino a poco tempo fa ero accecato da questa nuova moda, “autoscattando” il mio viso “poggiato” su uno sfondo composto da cielo azzurro e alberi. Poi mi sono chiesto “perché faccio tutto questo?” e ho smesso. E voi, per quale motivo amate i selfie? Vi avviso, non mi venite a dire “perché anche Fiorello fa la pubblicità”. Intesi?
L’altra sera, durante un momento di relax della giornata, ho pensato e ripensato ai problemi che attanagliano il mondo e in particolare l’Italia. Ho fatto una lista: crisi economica, disoccupazione, casi di violenza, politica che sta attraversando un periodo difficile, omofobia. Non mi dilungo più di tanto perché le cose che non vanno nel nostro Paese sono tante e superano, purtroppo, gli episodi positivi. Vorrei, invece, soffermarmi sull’ultima parola da me citata in precedenza. Vi siete mai chiesti il vero significato dell’omofobia? Certo, navigando in rete, leggiamo: “L’omofobia è la paura e l’avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, basata sul pregiudizio”, ma non è la stessa cosa se uno cerca di dare la risposta alla mia personalissima domanda. Secondo me l’omofobia, e lo dico senza peli sulla lingua, nell’intero globo non dovrebbe minimamente esistere. E’ una piaga, così come il razzismo, che sta prendendo piede in Italia perché non si rispetta lo stato d’animo di una persona.
A fine 2013, secondo i dati forniti dall’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori), l’omofobia occupa, nel nostro Paese, la seconda posizione riguardo i casi di discriminazione, preceduta solo dal razzismo. C’è un filo conduttore tra i due gravi problemi sociali, che spesso camminano a braccetto in virtù di una visione irrealistica del genere umano, abile a nascondere i propri limiti di pensiero, attaccando chi la pensa diversamente. Rispetto a 10/15 anni fa, “l’omofobo” è aumentato a dismisura e questo non lo dico io, ma i vari sondaggi fatti sul nostro territorio. Non ci rendiamo conto che, anche involontariamente, una buona parte del popolo italiano disdegna chi non si adegua alla cosiddetta massa, offendendo anche con una sola parola chi ci sta accanto. Gay, lesbiche, transessuali vengono visti come dei mostri nell’attuale società, divenendo vittime di certi “parassiti” che non aiutano l’attuale società verso quella tanto agognata svolta. Forse è questo il vero problema, anche perché in Italia siamo abituati a fare la morale appena accadono fatti ignobili, per poi criticare chiunque attraversi la strada. Ecco, l’omofobia non ha un concetto ben chiaro proprio per questi motivi e tutti dovremmo avere il coraggio di scandire: “ Basta all’omofobia, basta al razzismo, basta al pregiudizio e alle offese gratuite”.