Quando si è costretti a guardare e osservare le persone muoversi all’interno di uno spazio chiuso dove nessuno si ferma troppo a lungo, dove c’è un continuo viavai di personaggi con la propria storia che però è difficile da ricostruire, la realtà di quelle esistenze diventa prettamente immaginaria. L’osservatore diventa il narratore capace di unire alcuni dettagli e impastandoli con la propria esperienza riesce a costruire una storia.
Gli addii di Juan Carlos Onetti (Sur) è narrato in prima persona, colui che racconta la storia gestisce un negozio di paese, un luogo come tanti ma con la particolarità di essere un posto dove vengono a curarsi malati infetti di tubercolosi. E già dall’inizio della narrazione si capisce chiaramente che sarà una storia intrisa di tristezza e di rammarico. Il negoziante ha così tanta esperienza nell’osservare i sofferenti che entrano nel suo negozio da aver quasi acquisito una capacità profetica, riesce a capire se riusciranno a sopravvivere oppure no. Senza sbagliare mai. Quello che diventerà il protagonista del suo racconto è un ex atleta, con le mani affilate e lente, l’aria sconsolata e indolente, una faccia di legno duro, gli occhi da pesce addormentato. Onetti riesce con un magistrale uso delle parole a descrivere perfettamente i suoi personaggi che si muovono liberi e che hanno una vita propria e che lui sembra solo limitarsi a descrivere. Il negoziante appena vede quest’uomo che beve birra stancamente decreta il suo -non- futuro, perché per lui l’ex atleta non si farà curare e di conseguenza non durerà a lungo. Incominciano a definirsi alcuni elementi che vanno a costruire la storia (vera o falsa che sia) di questo uomo, nella sua vita ci sono due donne, dapprima presenti solo sotto forma di lettere che vengono recapitate in negozio e poi in carne ed ossa, una donna matura e una molto più giovane del malato divenuto ormai l’ignaro protagonista della storia nella storia. Gli abitanti del paese, forse per noia o per malsana curiosità, definiscono i contorni della vita di quell’uomo, traendo conclusioni frettolose basate solo su effimeri ragionamenti, su pettegolezzi. Si arriva persino ad augurare la morta del protagonista, ormai colpevole a sua insaputa di qualcosa che forse non ha neppure fatto. Onetti riesce a concludere il romanzo con maestria, non tanto per il colpo di scena che forse è persino prevedibile per chi legge perché quasi dichiarato all’inizio ma perché non lo è per il narratore e tutti gli abitanti del paese. Come scrive Antonio Muñoz Molina nella prefazione. “Il romanzo non ci offre una storia, ma piuttosto una serie di approssimazioni a questa”.
Inoltre alla fine del libro c’è un ottimo saggio dello scrittore uruguayano Mario Benedetti che analizza la produzione narrativa di Juan Carlos Onetti. La traduzione è di Dario Puccini.
Juan Carlos Onetti
Juan Carlos Onetti – Il pozzo
Da qualche parte, perso nelle sfumature, c’è il limite che separa un racconto da un romanzo breve. Io non so qual é questo limite, ma mi piace pensare di poterlo decidere da me.
Se non siete abituati al romanzo breve, se ne avete letti pochi o non ne avete letto nessuno, non penso di darvi un pessimo consiglio se vi dico di iniziare da Juan Carlos Onetti e dal suo “Il pozzo”. In fin dei conti pure Onetti ha iniziato, nel ’39, da “Il pozzo“.
La storia è presto raccontata, alla soglia dei quart’anni Eladio Linacero decide di raccontare la propria vita, perché è così che funziona, secondo quello che ha letto lui da qualche parte.
Inizia un racconto onirico, un susseguirsi di immagini e personaggi che sembrano abitare il mondo dei sogni di Eladio e che, molto facilmente, abiteranno anche il nostro.
A mano a mano che la storia di Eladio Linacero si dipana sembra che il protagonista sprofondi sempre di più nei ricordi e allo stesso tempo si allontani gradualmente dalla realtà. “Il pozzo” va letto tutto d’un fiato, assolutamente. Io, ad esempio, l’ho letto in treno, e il risultato è stato che sono riuscito ad estranearmi completamente dal mondo esterno per tuffarmi tra le spire del racconto onettiano. Avevo già letto in passato altri lavori di Onetti, lavori più lunghi, che mi erano ugualmente piaciuti,ma che non hanno l’intensità esplosiva di questo romanzo breve.
Un romanzo breve che mette in mostra la miseria umana, il pessimismo, il cinismo, il disincanto, tutte caratterstiche che a volte siamo costretti ad indossare per superare indenne la giornata.
La scrittura di Juan Carlos Onetti è meravigliosa, scorre addosso copiosa, ci fa riappacificare con la letteratura (soprattutto se vi è capitato di leggere pessima letteratura). In quest’opera, lo stile di Onetti contribuisce a farci vivere un sogno lungo una quarantina di pagine e ci tiene in apnea costringendoci alla lettura compulsiva.
Sto maturando l’idea che Juan Carlos Onetti vada letto, tutto.
Bellissima la traduzione di Ilide Carmignani, credo che renda appieno l’atmosfera onirica del libro di Onetti. Me la sono goduta dalla prima all’ultima pagina.
Juan Carlos Onetti (1909-1994) uruguayano, ha ricevuto nel 1980 il Premio Cervantes, massimo riconoscimento della cultura ispanica, per la sua carriera letteraria. Fra le sue opere: Per questa notte (1943), La vita breve (1950), Il cantiere (1961), Lasciamo che parli il vento (1979).