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Recensione La stanza profonda di Vanni Santoni (Laterza 2017)di David Valentini

by senzaudio
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Recensione La stanza profonda di Vanni Santoni (Laterza 2017)

Ma c’è un altro punto. D&D è controcultura.

Queste due frasi, queste nove parole, riassumono il messaggio che scorre attraverso le pagine della Stanza profonda di Vanni Santoni. È proprio così che D&D – abbreviazione di Dungeons & Dragons, titolo intraducibile in italiano non per la mancanza di vocaboli ma perché


Dungeon non si traduce. Non si dice sotterraneo, cripta o peggio tunnel, e non solo perché un dungeon può essere indifferentemente un sotterraneo, una cripta o un tunnel. Si dice dungeon perché solo quella parola va a formare ciò che ci si attende da quel buco in terra immaginaria: un diagramma di flusso fatto di stanze e porte e trappole, passaggi segreti e mostri e scale, pozzi e sepolcri, predelle e statue (a volte anche inanimate), tane, fiumi sotterranei, tesori: insomma, l’avventura


– è apparso e continua ad apparire, pur con meno enfasi dato lo sdoganamento del mondo fantasy dopo i film (e sottolineo: i film) del Signore degli Anelli e la serie (e anche qui sottolineo: la serie) Game of Thrones, e con l’altrettanto sdoganamento del mondo geek e nerd dopo The Big Bang Theory (senza contare la parziale affluenza dello stile di vita nerd in quello più mainstream degli hipster): una controcultura.

L’rpg/gdr (role-playing/gioco di ruolo) viene visto nel romano-saggio di Santoni, almeno fino alla metà degli anni duemila, come il rifugio degli emarginati sociali, degli sfigati, di quelli che lui definisce non senza autoironia i peiores. Rinchiusi in piccoli gruppi nelle loro stanze profonde (una cantina, un garage, ma anche una cameretta invasa da action figure, manga e videogame; o, nel migliore dei casi, una ludoteca), per anni i giocatori di ruolo si sono riuniti per portare avanti avventure create ad hoc dal master, vincendo ed esultando laddove nella vita quasi tutto era negato.

È una visione estrema, non esente da criticità, eppure neanche troppo lontana dalla realtà. Io che sono nato nel 1987 e ho scoperto il gdr (prima con D&D e poi con Vampire: The Masquerade, altro gioco nominato nella Stanza profonda) nel 2002 ho ricordi di quel periodo non troppo dissimili. Dietro casa mia c’era un locale dove ci riunivamo per giocare e la situazione era spesso come viene descritta da Santoni: poche persone – perlopiù metallari in fissa con i Blind Guardian e gruppi power ed epic metal – intorno a tavoli di legno, chiuse nel loro mondo di Magic, sessioni di gdr e manga.

È questa dunque la controcultura di cui parla Santoni: una controcultura nata negli anni settanta in America ed “emigrata” negli ottanta in Italia; una controcultura che ha spopolato per lungo tempo, figliando ovunque ma sempre di nascosto perché se facevi parte del mondo dei giocatori di ruolo prima della Compagnia dell’Anello (2001) eri un perdente. Ma anche una controcultura che si è evoluta passando dai wargame al gdr vero e proprio, e da qui a quella che si potrebbe definire una “biforcazione sociale”: da una parte il grv/larp (gioco di ruolo dal vivo/live action role-playing), la cosa più simile ad arti nobili come cinema e teatro; dall’altra il vasto mondo del mmorpg (massive multiplayer online role-playing), come Ultima Online, World of Warcraft (Wow) e Lineage, e del moba (multiplayer online battle arena), come Defense of the Ancients (Dota) e League of Legends (Lol).

Come si può vedere è una controcultura florida, che ha sfidato e vinto le resistenze fino a imporsi nel mondo mainstream, colonizzando ambiti fino a qualche anno fa impensabili. Nel libro di Santoni questo processo di “invasione” ha il sapore di un’epopea, mentre i primi player vengono descritti come dei pionieri, gente che ha saputo vedere lontano e lottato contro tutti. Sembra a tratti di assistere a una guerra fredda, mentre altre volte la dipendenza generata dal gdr assume i connotati della droga: non è raro trovare ragazzi che rinunciano a tutto il resto (alla vita sociale, allo studio, alla fidanzata) pur di riunirsi due o tre volte a settimana nella stanza profonda a godere di immagini e “quasi allucinazioni” molto simili a quelle prodotte da alcune droghe.

Ma esagerazioni a parte, D&D e il gdr in generale vengono mostrati per quello che sono: un gioco di evasione e immedesimazione in grado di unire, appassionare e far sognare intere generazioni di ragazzi.

Passando dai temi a elementi più tecnici, due sono i punti di forza del libro.

Il primo riguarda la scelta di alternare la narrazione pura a un aspetto più saggistico, in cui il lettore viene informato sulla nascita e l’evoluzione del gioco di ruolo prima in America e poi in Italia. Santoni ci racconta l’incontro fra Gygax e Arneson, i creatori di D&D; ci racconta l’evoluzione del gioco, passando per Advanced Dungeons & Dragons (la seconda edizione) e arrivando alla terza edizione (oggi siamo alla quinta, dopo il fallimento della quarta edizione e la “secessione” di Pathfinder); ci racconta la nascita e la morte di decine di figli, legittimi e non, e di altrettanti epigoni; ci racconta degli scandali e delle lotte per demistificare l’assurda associazione fra giochi di ruolo, sette religiose e satanismo. E ci racconta tutto questo con la perizia e l’accuratezza dell’appassionato: dalle pagine infatti trasuda il sogno che il gdr e il fantasy sono per l’autore del romanzo fantasy Terra ignota (Mondadori 2013 e 2014). Risulta impossibile non farsi coinvolgere, a prescindere dall’essere giocatori o meno.

Il secondo riguarda la scelta della seconda persona, che tanto bene rende l’idea di una narrazione fantasy messa in piedi da un master:


E, no, quella notte, e sono già le tre, non andate a letto. Vi rimettete al tavolo, tirate su dei personaggi a suon di 3d6 secondo i dettami della primissima edizione e giocate un’avventura che improvvisi lì per lì – mostro finale, in omaggio e Gygax e Arneson, il beholder.


Laddove la prima persona ha l’effetto psicologizzante di calare il lettore nella mente del narratore, creando un connubio altamente emotivo e introspettivo, e la terza persona conferisce alla lettura un senso più oggettivo e distaccato, la seconda esprime l’arte dello storytelling che un master deve possedere e saper trasmettere. Il master è un narratore, ma assume in sé anche il ruolo di arbitro, difensore delle regole e, volendo esagerare con le parole, demiurgo. È lui a creare l’ambientazione, i png (personaggi non giocanti, ossia gli antagonisti, gli aiutanti e tutte le altre “persone” che popolano il mondo immaginario al di là dei giocatori); è lui a gestire lo scorrere del tempo e l’evolversi degli eventi; è lui a dare colore alla storia e a tenere in piedi, come il regista sul set o il leader di una società, il gruppo (infatti, come Santoni sa bene: smolla il master, smollano tutti).

Ecco, la seconda persona questo effetto lo trasmette in pieno: Santoni è il master/narratore del suo libro e noi, i lettori, ne siamo i giocatori. A lui spetta il compito di immergerci nel mondo da lui stesso creato, di farci interagire con i suoi personaggi, di svelarci passo dopo passo la sua storia.

E ci riesce: altroché se riesce, per esempio, a trasmettere il sentimento nostalgico che attanaglia i protagonisti della Stanza profonda quando dopo vent’anni si ritrovano intorno un tavolo a giocare.

Perché, sembra dirci l’autore, si può perdere la propria identità, il proprio tempo e le proprie amicizie e diventare tutt’altro; ma non si smette mai di essere giocatori di ruolo.

di David Valentini

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