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Parental Advisory: Difetti e Pregio

by senzaudio

A cura di: Graziano Carugo Campi

Domenica, quattro di notte. E’ arrivata la stagione calda e il mio gatto decide di invitare un amico per un rave party in camera mia. L’amico è un topolino, preso in giardino e introdotto illegalmente attraverso lo “sportellino di cortesia” che gli abbiamo aperto per garantirgli un minimo di indipendenza sociale (leggi: perchè se no mi smarronava alle 4 di notte per entrare o uscire da casa mia).

Tutto molto bello direte voi, non fosse che ho dovuto inseguire un ratto di campagna per tutta la casa, in pigiama e a piedi nudi, fino a che non mi sono arreso e ho spalancato il portone nella speranza che si decidesse ad uscire da solo. Un’ora di inseguimento inutile, o quasi: due giorni prima ho perso il mio cellulare, cosa che mi ha creato profondo disagio psicologico (rubrica, sms, foto, mail… ormai tutto è archiviato su quelle scatoline che tuttavia sono ancora prive del dispositivo di autodistruzione o quanto meno di un sistema teleguidato che consenta il lancio di missili a testata nucleare della buona vecchia Unione Sovietica nella zona in cui il cellulare è stato smarrito).

Ad ogni buon conto, essendo le ormai le cinque del mattino, provo un attimo a chiamare il numero del mio cellulare smarrito e… “Ta-dan!”: squilla!. Due suoni e poi la risposta: “Pronto?”.
La voce è roca, assonnata…
“Buongiorno… lei per caso ha il mio cellulare?”. “Sì”.
“Accidenti… grazie mille… scusi l’ora… non è che potremmo vederci per…”.
“Assolutamente no”.
“Come no?”. “Lascia perdere… ormai il tuo cellulare è andato… non ne vale la pena…”.
“Ma guardi che sono pronto a darle una ricompensa”. “Ma no lascia stare… guarda: lascia stare”.
E riattacca.
Richiamo.
“Pronto?” “Scusi ma…”
“Ancora tu? Ma allora non ci siamo proprio: scordati il cellulare… sono le cinque del mattino… è andato, capito? Andato!”
“Ma scusi…”. “No, non scuso un cazzo… lo uso finchè c’è credito e poi lo butto via… lascia perdere”.
E attacca, spegnendo il cellulare.

Il topolino mi passa davanti e si ferma a guardarmi. Incrociamo lo sguardo per qualche secondo, poi esce dal portone, sano e salvo, mentre il gatto non ha più niente da dire neanche lui, visto che la ciotola è comunque piena.

Settanta euro, si e no, il valore del cellulare. Quello che conteneva, compresa la paura che password o altro possano essere state violate da questo “Lord”, giustificava più o meno la legittima difesa in caso di omicidio con machete.

A distanza di tre giorni ancora non riesco a mettermi il cuore in pace: cambiate le password, rifatta la scheda telefonica, tra un paio d’ore il corriere dovrebbe consegnarmi il mio nuovo cellulare ma, nonostante questo, ancora immagino il lercione con in mano il mio cellulare, che guarda le mie cose, e mi sento come la ragazzina a cui i compagni di classe hanno appena alzato la gonna mentre aspettava il pullman vicino a me e non riesco a fare a meno di accorgermi di quanto siamo cambiati in questi anni.

Un cellulare è diventato lo scrigno del pudore e dei segreti più inconfessabili. Anche quelli che in realtà segreti non sono e che dei quali poco potrebbe importarci. Tutto è sincronizzato, tutto è memorizzato, e niente sparisce. Questa è la società dell’archiviazione, in cui tutto viene ridotto a semplici dati e chi è in grado di gestirli e controllarli domina il mondo e non non serviva certo questo episodio per ricordarmelo.

Tuttavia, se questa è la “nuova era”, se questi sono i difetti, io sono convinto che c’è qualcosa che non è ancora tramontato e mai tramonterà: il sano rancore indignato di chi augura la diarrea fulminante spastica a spruzzi a quel grandissimo Lord Lercione che ha rubato il suo cellulare. Poterlo fare a livello mondiale, grazie al fatto di vivere nell’epoca dei blog, è sicuramente un pregio.

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